Predella n. 20, aprile 2007
Alla scadenza, ormai prossima, di elezioni presidenziali che si profilano in un orizzonte brumoso, i francesi si interrogano con sempre maggior inquietudine sul significato da assegnare alla propria identità nazionale. Lo testimoniano non solo gli interventi di esimi intellettuali – storici, filosofi, sociologi –, ma soprattutto lo sbandamento che attanaglia lo spirito dei cittadini, sempre più confusi da questioni capitali, quali l’appartenenza ad una sovranazione europea, i rapporti interni con il mondo islamico, le contraddizioni dei differenti schieramenti politici, la paura per una deriva conservatrice e persino autoritaria del Paese. E non ultima, quell’immagine che la Francia aveva consolidato negli anni Settanta e Ottanta, di modello esemplare per la politica della cultura e delle arti figurative, sembra oggi messa seriamente in discussione. In questo clima di sensibile incertezza si inserisce, fornendo spunti di riflessione assolutamente attuali, la mostra che si è appena conclusa, Orangerie, 1934: Les “Peintres de la Réalité”, curata da Pierre Georgel, attuale direttore del Museo dell’Orangerie e artefice del suo rinnovamento. L’esposizione richiama in vita quella che fu dedicata alla corrente "realista” del Seicento francese, quella parte consistente della produzione pittorica che, esorbitando dalla luminosa galassia di Poussin, fu lasciata in ombra dalla critica classicista di Félibien.