Predella n. 27, giugno 2010: Primitivi pisani fuori contesto
Per chi scrive, l’interesse verso il tema indicato nel titolo è nato nel 2007, grazie ad una borsa post dottorale del Metropolitan Museum of Art che aveva come progetto un’indagine sui dipinti dei primitivi pisani conservati nelle collezioni americane. La ricerca mi ha dato anche l’opportunità di venire a conoscenza degli studi in corso, in questo stesso campo, da parte di alcuni altri colleghi. Da qui l’idea di coinvolgerli in un coro in cui spiccano timbri ed approcci diversi, ma il cui obiettivo finale è unico, e vorrebbe essere quello di richiamare l’attenzione su alcune opere appartenenti al Trecento pisano sebbene oggi non più sul territorio. Il lettore troverà dunque contributi che prendono in esame opere perdute di cui resta però testimonianza nei testi pittorici della generazione successiva, come nel caso del saggio su Taddeo Gaddi scritto da Johannes Tripps, oppure opere scomparse perché trafugate in periodi critici della storia italiana, come illustra il saggio di Elena Franchi che, partendo dalle vicende del frammento del Fonte battesimale di Tino di Camaino, trafugato durante la mostra pisana del 1946, si estende fino ad interessarsi di altri casi di opere provenienti da Pisa e rubate, vendute o avventurosamente ritrovate nei difficili anni Quaranta del Novecento. Sull'altro versante dello stesso crinale, il collezionismo, Pisa fu certamente all'avanguardia, come testimonia il caso della collezione del canonico Zucchetti - donata all'Opera del Duomo nel 1796 e costituita da un'ingente raccolta di tavole quasi sempre prelevate dalle chiese disseminate sul territorio - e quello, ancor più eclatante, della collezione del conte Carlo Lasinio, conservatore del Camposanto pisano, che, come può ora dimostrare Ljerka Dulibic, ebbe fra le sue mani anche la Presentazione al Tempio di Pietro Lorenzetti nel Museo Mimara di Zagabria ed almeno un Angelo proveniente dal registro superiore della Maestà dipinta da Duccio per il Duomo di Siena.