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square  UN'IPOTESI ICONOGRAFICA
SULLA TESTA DI MEDUSA DEL CARAVAGGIO

Taro Kimura

 

La Testa di Medusa di Michelangelo Merisi da Caravaggio oggi nella Galleria degli Uffizi di Firenze [Fig. 1] è un esempio degli scudi da parata frequentemente eseguiti nel Cinquecento. Il suo supporto di pioppo misura 56 centimetri di diametro. La parte anteriore è convessa con freccia massima di circa 11,5 centimetri ed è rivestita da una tela di lino, sulla quale il Caravaggio dipinse la testa gorgonea utilizzando la tecnica della pittura ad olio.

Con questo articolo intendo fare un’analisi iconografica della Testa di Medusa del Caravaggio. Trattandosi di un capolavoro del Merisi, questo scudo è stato accuratamente studiato e analizzato da diversi studiosi negli ultimi decenni [1]. Ma, nonostante i tentativi, non è ancora stata fatta luce sul vero significato della così particolare interpretazione della testa di Medusa fornita dal pittore lombardo.

Vediamo con precisione di che immagine si tratta.

La testa di Medusa, collocata sullo sfondo verde dello scudo, ha il viso deformato, gli occhi spalancati e la bocca aperta che lascia intravedere la lingua e i denti. Al posto dei capelli nove serpenti si intrecciano attorno al viso. Un getto di sangue fuoriesce dal collo. La luce proveniente dall’alto a sinistra proietta l’ombra della testa sullo sfondo verde. Lungo il bordo dello scudo sono presenti degli arabeschi.

Come è noto, il tema della Medusa deriva dalle antiche narrazioni mitologiche come quelle di Esiodo (Teogonia, 274-284) e di Ovidio (Metamorfosi, IV, 769-803). Secondo queste narrazioni, la Medusa con la testa anguicrinita trasformava in pietra chiunque la guardasse. Fu uccisa dall’eroe Perseo, il quale le mozzò il capo guardando, per non essere impietrito, l’immagine riflessa su uno scudo di bronzo lucido come uno specchio. Tuttavia, anche dopo essere stata separata dal corpo, la testa non perse il potere di pietrificare chi la guardava. Perseo la portò con sé come un trofeo e la regalò alla dea Minerva, la quale la pose al centro del suo scudo, l’egida, per terrorizzare i suoi nemici.

Succesivamente, nell’antichità, il motivo della testa di Medusa fine a se stesso venne scisso dalle narrazioni originali, ottenendo una funzione apotropaica. Così l’immagine della testa medusea fu usata tradizionalmente su diversi oggetti come armi, gioielli, ceramiche, facciate di palazzi, ecc. [2]. A questa serie di oggetti apparterrebbe anche lo scudo del Caravaggio. Ma osservando alcune opere cinquecentesche con lo stesso motivo apotropaico, si può notare che l’immagine del Merisi ha due particolari elementi iconografici: l’ombra che la testa proietta sullo sfondo verde e il sangue che fuoriesce dal collo.

Di norma non è presente l’ombra della testa, come si può vedere nelle altre opere che rappresentano la Medusa: il piatto di maiolica di Cafaggiolo, prodotto agli inizi del Cinquecento [Fig. 2], l’incisione realizzata da un pittore della scuola del Bronzino nella seconda metà del Cinquecento [Fig. 3] e la decorazione di legno policromo (probabilmente su disegno di Pietro Maria Bagnatore) sull’organo fabbricato nel 1588 per la chiesa di Santa Maria della Consolazione di Almenno San Salvatore [Fig. 4]. Inoltre, come ho menzionato in precedenza, la parte anteriore dello scudo del Merisi è convessa, ma l’ombra della testa, al contrario, è dipinta come se si allungasse su una superficie concava. In altre parole questa ombra crea l’illusione che la reale superficie non sia convessa ma concava.

La raffigurazione della testa della Gorgone non presenta il sangue schizzante dal collo. Anche questo fatto emerge in maniera evidente dalle opere sopra ricordate. Lo schizzo di sangue fu utilizzato solo (e non sempre) quando la testa di Medusa è associata alla figura di Perseo, come si può osservare in un affresco realizzato da un pittore della scuola di Alessandro Allori per un soffitto del Palazzo degli Uffizi verso il 1581 [Fig. 5] [3].

Quali spiegazioni sono state date riguardo a questi due singolari elementi? Prima di esaminarli bisognerebbe, però, osservare quando e per quale ragione lo scudo fu eseguito dal Caravaggio.

 

1. Storia

Non c’è nessuna fonte relativa alla sua committenza, ma, come accennano alcuni documenti già pubblicati, questo scudo venne, con ogni probabilità, eseguito entro il 1597, o al più tardi, nei primi mesi del 1598 [4]. Il suo committente fu il cardinale Francesco Maria Del Monte (1549-1626), erudito appassionato d’arte e rappresentante del Granducato Toscano presso lo Stato Pontificio [5]. In questo periodo Del Monte ospitava e proteggiava il Merisi nella sua abitazione di Roma, Palazzo Madama, dove lo scudo fu realizzato [6].

Il cardinale commissionò questo lavoro come dedica al suo superiore, il granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici (1549-1609) [7]. A partire dal 1588 Ferdinando iniziava a sistemare le tre sale del piano superiore nel Palazzo degli Uffizi (si tratta rispettivamente della «sala del Giambellino e di Giorgione», della «sala dei Fiamminghi e dei Tedeschi del Rinascimento» e della «sala di Mantegna e di Correggio») per esporre la sua collezione d’armi [8]. Conosciuta questa sistemazione, Del Monte ebbe l’idea di donare al granduca uno scudo dipinto dal Caravaggio, per offrire il suo contributo alla nascente Armeria Medicea e per fare conoscere a Firenze le abilità pittoriche dell’artista da lui protetto [9]. È probabile che il cardinale e il pittore, in stretta collaborazione, abbiano scelto il tema da dipingere sullo scudo elaborando accuratamente il motivo iconografico.

Con lo scudo completato Del Monte lasciò Roma il 13 aprile 1598 e giunse a Firenze il 25 luglio dello stesso anno [10]. Lo donò al granduca prima del 7 settembre 1598, data in cui l’opera venne registrata in un inventario dal “maestro archibusiere” dell’Armeria Medicea Antonio Maria Bianchi [11]. In seguito lo scudo fu posto nella «prima sala» delle tre sale sopra menzionate. La data risale a prima del 1631 (la data esatta dell’inserimento rimane ancora sconosciuta), come appare in un inventario dell’Armeria Medicea [12]. Lo scudo era impugnato da un manichino che, con indosso un’armatura persiana e in sella ad un cavallo di legno, era collocato al centro della sala. Tra il 1773 e il 1780 l’Armeria venne drasticamente ridotta e la maggior parte delle sue armi fu venduta [13]. Lo scudo del Caravaggio, però, non condivise la sorte di queste armi, probabilmente in virtù del suo valore artistico, e rimase nel Palazzo degli Uffizi, dove è tuttora esposto.

 

2. Ricerche precedenti

Ora verifichiamo le spiegazioni che gli studiosi hanno dato riguardo ai due elementi a cui ho già accennato: l’ombra che la testa di Medusa proietta sullo sfondo e il sangue che fuoriesce dal collo.

Zigmunt Wazbinski ritiene che l’ombra possa essere letta in relazione a una miniatura dipinta dal pittore veronese Jacopo Ligozzi nella seconda metà del Cinquecento [14]. Probabilmente il cardinale Del Monte possedeva nella sua collezione una replica del celebre “ritratto” di serpenti di Ligozzi, simile a quella che si trova attualmente nella Biblioteca Universitaria di Bologna [Fig. 6]. Su questa miniatura sono raffigurate due vipere la cui ombra è proiettata sullo sfondo. Secondo Wazbinski, il Caravaggio, in fase d’esecuzione dello scudo, aveva la miniatura davanti agli occhi e riprese non solo la forma degli animali ma anche la loro ombra [15].

Va però detto che questa lettura è incompleta. Perché essa può spiegare solo la ragione per cui il Caravaggio dipinse l’ombra, e non quella per cui l’artista raffigurò l’ombra in modo così particolare. L’ombra delle vipere nella miniatura, infatti, non presenta nessuna singolarità per quanto riguarda la forma. Inoltre, Wazbinski non tiene in considerazione l’altro particolare elemento dello scudo, il sangue. Quindi non arriva ad esaminare i significati dell’insieme visivo del dipinto caravaggesco.

A mio avviso, è solo Giacomo Berra che ha percepito i due particolari elementi e ha analizzato il dipinto del Merisi totalmente dal punto di vista iconografico [16]. Vediamo in modo dettagliato la sua opinione. Per prima cosa, in relazione al sangue, Berra pensa che l’opera del Caravaggio non sia da interpretare come un’immagine apotropaica tradizionale scissa dalle narrazioni mitologiche, ma come lo scudo di Perseo presente nelle narrazioni stesse. Come narra il mito, Perseo, per evitare di essere pietrificato, uccise la Medusa non guardandola direttamente ma attraverso la sua immagine rispecchiata nello scudo. Secondo Berra, il Caravaggio ricreò proprio l’immagine rispecchiata nello scudo di Perseo nel momento in cui l’eroe mozza la testa di Medusa. È per questo che il sangue fuoriesce dal collo. Guardando, però, lo scudo caravaggesco da questo punto di vista, sorgono due dubbi. Primo: perché non è dipinta la figura di Perseo con la spada che tagliò la gola della Gorgone? Secondo: come è spiegabile l’ombra raffigurata come se si allungasse su una superficie concava? Riguardo al primo punto, per confutarlo Berra ha citato l’invisibilità del protagonista. Come è narrato nel testo scritto intorno al I-II secolo d.C da Pseudo-Apollodoro (Bibliotheca, II, IV, 2), Perseo, per potere affrontare meglio il suo compito, aveva ricevuto dalle ninfe l’elmo di Ade con il quale poteva rendersi del tutto invisibile. Tuttavia, per quanto riguarda il secondo punto, Berra non ha potuto proporre una soluzione ragionevole utilizzando lo stesso contesto. Così lo studioso ha presentato un’interpretazione utilizzando un diverso contesto: l’opera del Caravaggio può essere interpretata anche come l’egida di Minerva. Come narra il mito, la dea collocò la testa medusea portatale da Perseo al centro della sua egida. L’egida, secondo quanto dice Boccaccio nella sua Genealogia degli Dei del 1365 circa, era di cristallo. Il cristallo può essere inteso non solo come qualcosa di lucido, ma anche come qualcosa di trasparente. Infatti su una tavola raffigurante Minerva, dipinta da Fra’ Bartolomeo ed oggi conservata nel Musée du Louvre, si può notare che la dea sostiene uno scudo trasparente. Berra ritiene che l’ombra in questione fu uno strumento per creare l’illusione che la superficie dello scudo fosse trasparente. In altre parole l’ombra fu utilizzata per fare percepire all’osservatore che la reale superficie non fosse convessa ma concava, dando così all’osservatore la sensazione di trovarsi di fronte a una convessità trasparente che lascia intravedere lo spazio a nicchia nel quale è posta la testa di Medusa. Berra così dimostra che l’opera del Merisi può essere interpretata sia come lo scudo di Perseo che riflette la testa di Medusa, sia come l’egida di Minerva sulla quale era posta la testa gorgonea decapitata [17].

Riconoscendo i due singolari elementi iconografici Berra ha cercato di analizzare l’opera del Caravaggio nella sua totalità. Per questo la sua opinione merita certamente un’attenzione particolare. Nel contempo, però, non si può negare anche che alcuni dubbi rimangano.

In primo luogo, è possibile che siano stati fusi i due distinti scudi presenti nelle narrazioni mitologiche? Perfino la riproduzione di un solo strumento descritto nella mitologia sarebbe stata rara nella cultura artistica del Cinquecento. Tenendo conto di questo, dovrebbe essere impossibile trovare nelle opere d’arte del tempo un esempio simile di fusione di due strumenti. Infatti l’opera del Caravaggio non venne mai registrata nei più antichi documenti né come lo scudo di Perseo o l’egida di Minerva né come la fusione di essi. La testimonianza più antica che ricorda lo scudo del Merisi risale al 7 settembre 1598, quando l’opera venne descritta così in un inventario della Guardaroba Medicea: «Una rotella o scudo tondo con fregio attorno arabescato d’oro e dipinto in mezzo la testa di Medusa in canpo verde con la sua imbraciatura di velluto tané» [18]. In un inventario dell’Armeria Medicea del 1631, inoltre, fu segnalata soltanto come «uno scudo entrovi drentro dipinto una testa di Medusa tutta serpegiata» [19]. Questo suggerirebbe, contrariamente all’interpretazione di Berra, che lo scudo fosse stato inteso come un’immagine apotropaica tradizionale scissa dalle narrazioni mitologiche. Ipotesi avvalorata da una rima del poeta Giovan Battista Marino. Il poeta, che vide lo scudo del pittore lombardo probabilmente a Firenze agli inizi del Seicento, scrisse così nella sua Galleria del 1620: «Poco fra l’armi / A voi sia d’huopo il formidabil mostro / Che la vera Medusa è il valor vostro» [20].

In secondo luogo, se fosse vero quello che ha sostenuto Berra, che cosa spinse il Caravaggio a fondere i due distinti scudi? Nell’interpretazione di Berra non c’è nessuna risposta a questa domanda. L’insieme di questi dubbi senza una valida risposta fanno sì che l’ipotesi di Berra sembri inattendibile.

Tutte le spiegazioni che ci sono state date riguardo ai due particolari elementi non sono soddisfacenti e per questo non è ancora stata fatta luce sul vero significato della Testa di Medusa del Caravaggio.

 

3. Ipotesi iconografica

In considerazione di questa situazione cercherò di avanzare una nuova ipotesi, con cui diventerebbero spiegabili i due particolari elementi, per chiarire i significati del dipinto caravaggesco.

Prima di tutto, basandosi sui più antichi documenti sopra ricordati, si può supporre ragionevolmente che la Testa di Medusa del Merisi fosse stata allora accettata come uno scudo con un’immagine apotropaica. Questo fatto dovrebbe essere tenuto in considerazione. Ma tale punto di vista non basta per dare spiegazioni ai due singolari elementi, come abbiamo riconosciuto osservando alcune opere con lo stesso motivo apotropaico [Figg. 2-3-4]. Ritengo che l’opera del Caravaggio sia da interpretare come uno scudo con un’immagine apotropaica e nel contempo come uno scudo nel quale venne visivamente sottolineata, nel contesto del “paragone”, la superiorità della pittura sulla scultura, o meglio sul rilievo raffigurante la testa di Medusa scolpita sulla parte anteriore di scudi da parata in acciaio.

Come è noto, la questione del “paragone” tra la pittura e la scultura – quale delle due arti sia superiore, e perché – suscitava l’interesse degli intellettuali nell’Italia del Cinquecento, i quali si espressero spesso sul questo argomento nei loro scritti [21]. Come ha chiarito Luigi Spezzaferro, tale argomento era certamente conoscuito anche nell’ambiente del Caravaggio e Del Monte nel periodo dell’esecuzione della Testa di Medusa [22]. In genere i difensori della scultura sostennero che essa non solo si vede ma anche si tocca e che dura più a lungo, ecc.. I difensori della pittura, invece, sottolinearono principalmente che essa è in grado di visualizzare abilmente tante cose e diversi fenomeni che non sono raffigurabili nella scultura. Seguendo questa tendenza, inoltre, le opinioni sul “paragone” furono espresse qualche volta non solo negli scritti ma anche nelle pratiche artistiche stesse. Cioè i pittori, appellandosi alla teoria dei difensori della pittura, eseguirono un dipinto a manifestare visivamente la superiorità della propria arte su una specifica statua o rilievo. A questa serie di dipinti apparterrebbe anche l’opera del Caravaggio e il suo rivale sarebbe stato il rilievo raffigurante la testa di Medusa scolpita sulla parte anteriore di scudi da parata in acciaio.

Scudi da parata in acciaio con il rilievo raffigurante la testa gorgonea erano frequentemente eseguiti da armaioli milanesi a partire dalla metà del Cinquecento, tra cui quello realizzato da Filippo e Francesco Negroli nel 1541 [Fig. 7] e quello finito da un anonimo armaiolo milanese nel 1570-80 [Fig. 8] [23]. Questi scudi, al pari dell’opera del Merisi, possiedono la parte anteriore convessa, sulla quale è rappresentata la testa della Gorgone come un motivo apotropaico. Anche riguardo alle dimensioni queste sono quasi uguali a quelle dello scudo del pittore [24].

In verità interpretare l’opera del Merisi in relazione agli scudi da parata in acciaio con lo stesso motivo non è originale. Già negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso è stato proposto da Walter Friedlaender e Detlef Heikamp [25]. Questi studiosi, però, si sono limitati a considerare tali scudi in acciaio come la fonte dello schema iconografico, nel quale la testa medusea è visualizzata sulla parte anteriore di uno scudo da parata, dell’opera del Caravaggio. E questa opinione è stata ampiamente seguita dalla critica. Tuttavia per il Caravaggio gli scudi in acciaio non sarebbero stati solo la fonte dello schema della sua opera, ma anche il rivale figurativo.

Vediamo i due particolari elementi iconografici della Testa di Medusa del Merisi come motivi chiamati a sostenere la mia ipotesi.

In primo luogo l’ombra dipinta come se si allungasse su una superficie concava. Come ho menzionato, la raffigurazione di tale particolare ombra è anomala per le opere d’arte del tempo con un’immagine apotropaica [Figg. 2-3-4]. Perché sullo scudo del Caravaggio, nonostante dovesse essere sempre con l’immagine apotropaica, è raffigurata l’ombra? Se si ipotizzasse che nello scudo del pittore veniva visivamente sottolineata la superiorità del suo dipinto sul rilievo in acciaio, si potrebbe dare una spiegazione alla domanda. Si noti come l’ombra (o la luce) fosse talvolta rappresentata proprio in modo particolare nei dipinti a manifestare la superiorità della pittura sulla scultura. Uno di essi è l’Apelle e il ciabattino, un affresco realizzato da Giorgio Vasari per la “sala delle arti” nella sua casa a Firenze nel 1571-72 [Fig. 9]. In questo affresco, come ha indicato Michiaki Koshikawa, il primo piano e il fondale sono curiosamente incoerenti per quanto riguarda la direzione della luce e dell’ombra [26]. Dietro tale raffigurazione ci fu la teoria dei difensori della pittura che definivano la luce e l’ombra come elementi caratteristici di questa arte perchè non sono raffigurabili nella scultura. Baldassare Castiglione, ad esempio, scrisse a tal proposito nel suo Cortegiano del 1528: «alle statue mancano molte cose che non mancano alle pitture, e massimamente i lumi e l’ombre» [27]. Tale argomentazione fu utilizzata anche da Giovan Paolo Lomazzo nel suo Trattato dell’arte della pittura, scoltura et architettura del 1584: «la scoltura riceve il lume naturale, ma la pittura non solamente il riceve, ma l’introduce per le sue parti» [28]. Così gli artisti, per esprimere la superiorità della pittura, basandosi sulla teoria appena ricordata, dipingevano intenzionalmente una singolare luce o ombra, non rappresentabili nella scultura, come un fondamento iconografico. Come ho già detto, sia l’opera del Caravaggio sia gli scudi in acciaio con il rilievo possiedono la parte anteriore convessa. Negli scudi in acciaio, però, è impossibile visualizzare l’ombra come se si allungasse su una superficie concava. Quindi il Merisi potrebbe aver inventato l’ombra come un motivo iconografico a manifestare la superiorità del suo dipinto sul rilievo.

Vediamo, inoltre, l’altro particolare elemento, il sangue che fuoriesce dal collo. Come si è detto sopra, anche la raffigurazione del sangue è eccezionale per le opere d’arte cinquecentesche con il motivo apotropaico [Figg. 2-3-4]. Ma sullo scudo del Caravaggio, sebbene dovesse essere con lo stesso motivo, è presente il sangue. A che scopo l’artista lo dipinse? Anche qui, ipotizzando che nello scudo caravaggesco venisse sottolineata la superiorità del suo dipinto sul rilievo in acciaio, il problema potrebbe essere risolto. Di rilevante importanza è il fatto che i difensori della pittura si riferissero frequentemente a diversi liquidi come oggetti che non sono raffigurabili nella scultura. Ad esempio, Leonardo da Vinci nominò la «pioggia» nel suo incompleto Trattato della pittura [29], mentre Benedetto Varchi menzionò il «sudore» nelle sue Due lezzioni del 1550 [30]. A mio avviso, non si può trovare alcuno scritto del tempo in cui veniva accentuato proprio il «sangue». Ma che la scultura abbia qualche difficoltà a raffigurarlo potrebbe essere testimoniato da opere d’arte stesse, tra cui il Perseo con la testa di Medusa eseguito da Benvenuto Cellini nel 1545-54 [Fig. 10]. Osservando la statua, infatti, sarebbe difficile individuare a prima vista il sangue schizzante dal collo. In conclusione, nello scudo del Caravaggio anche il sangue potrebbe essere un motivo iconografico a sostenere la superiorità del suo dipinto.

L’ipotesi che nell’opera del Merisi venisse visivamente sottolineata la superiorità del suo dipinto sul rilievo in acciaio, inoltre, potrebbe essere avvalorata da un altro elemento. Si tratta della circostanza in cui lo scudo del pittore era stato collocato nel periodo iniziale. Come abbiamo visto, lo scudo, donato dal cardinale Del Monte al granduca di Toscana tra il 25 luglio 1598 e il 7 settembre dello stesso anno, fu posto prima del 1631 nella «prima sala» delle tre sale del Palazzo degli Uffizi. Questo è testimoniato dall’inventario dell’Armeria Medicea del 1631 [31]. Sempre secondo l’inventario, lo scudo era aggiunto ad un’armatura persiana indossata da un manichino su un cavallo di legno collocato al centro della sala. Da tale situazione si può apprendere che lo scudo vi era stato inserito in un contesto privilegiato. Va però segnalato che nella «prima sala» era posto anche uno scudo in acciaio con il rilievo raffigurante la testa di Medusa. Questo fatto, finora sfuggito agli studiosi, viene confermato da una registrazione dello stesso inventario: «Uno scudo di ferro nero, con una maschera di Medusa di rilievo» [32]. Esso è identificabile con lo scudo sopra citato [Fig. 8] [33]. Purtroppo, dall’inventario è impossibile sapere in che modo era esposto, ma il fatto che la Testa di Medusa del Caravaggio e uno scudo in acciaio con lo stesso motivo erano inseriti nella stessa sala avvalorerebbe la mia ipotesi, anche se non si può dire con certezza se le due opere furono davvero esposte consapevolmente a pendant. Perché il “paragone” tra la pittura e la scultura trattava del «soggetto che potrebbe essere efficacemente indirizzato in una camera dove queste due arti erano giustapposte» [34]. E di tale circostanza, che permette di mettere praticamente a confronto le due arti, infatti, si possono trovare alcuni esempi simili nell’esposizione dei dipinti a manifestare la superiorità della pittura sulla scultura. Ad esempio, nella Galleria del Palazzo Farnese di Roma erano affiancati i dipinti (quadri riportati) a soggetto mitologico di Annibale Carracci realizzati con la tecnica ad affresco nel 1597-1600 e le loro rivali, le statue antiche [35].

 

4. Motivazioni

In fondo, se si ipotizzasse che nello scudo del Caravaggio veniva visivamente sottolineata la superiorità del suo dipinto sul rilievo in acciaio, si potrebbero dare spiegazioni ai due particolari elementi iconografici. Anche la circostanza in cui lo scudo era stato collocato nel periodo iniziale suggerirebbe l’eventualità di tale aspetto nel dipinto del Merisi.

Ma se fosse vero quello che ho sostenuto sopra, che cosa spinse il Caravaggio a fare questa azione? A mio avviso, le opere del Merisi che sono finora state indicate dalla critica come quelle che hanno la possibilità di manifestare la superiorità della pittura su qualche scultura, sono solo l’Amore vincitore di Berlino e la Deposizione della Città del Vaticano [36]. Perciò non si può considerare tale rappresentazione come una consuetudine del pittore. Se il pittore sottolineasse la superiorità della pittura limitandosi alla Testa di Medusa, si dovrebbe indicare una ragione peculiare per questo atto.

Per chiarirne la ragione bisognerebbe comprendere la tendenza dell’immagine su scudi da parata in legno eseguiti nel Cinquecento e ricostruire le vicende della realizzazione dello scudo caravaggesco, dalla scelta del tema alla elaborazione del motivo iconografico.

Come abbiamo visto, scudi da parata in acciaio con il rilievo raffigurante la testa di Medusa erano frequentemente eseguiti a partire dalla metà del Cinquecento. Invece era probabilmente raro che la stessa testa fosse dipinta su scudi da parata in legno come quello del Caravaggio. Infatti, degli scudi in legno rimasti è difficile trovare, oltre all’opera del pittore, quello su cui è rappresentata la testa di Medusa [37]. Come ha indicato Francesco Rossi, inoltre, dipingere questo tema non è affatto corrispondente alla tendenza dell’immagine su scudi in legno [38]. Di norma, vi erano raffigurate scene storiche o mitologiche, e tale raffigurazione non era composta da un unico motivo iconografico come la testa della Gorgone, ma da vari motivi che riempiono completamente la parte anteriore degli scudi. Ciò è testimoniato dagli esemplari di scudi in legno come la Lotta tra Centauri e Lapiti realizzata da un pittore della scuola di Giulio Romano verso la metà del Cinquecento [Fig. 11] e la Battaglia di Scannagallo eseguita da Giovanni Stradano nel 1574 [Fig. 12] . Come ho già detto, Friedlaender e Heikamp hanno considerato scudi in acciaio con il rilievo della testa medusea come la fonte dello schema iconografico dell’opera del Caravaggio. Questa considerazione sarebbe stata basata proprio sulla loro conoscenza di tale tendenza dell’immagine su scudi in legno.

Ma pensando così, sorge un dubbio. Nonostante esistesse tale tendenza, perchè la testa di Medusa fu scelta come il tema da dipingere sullo scudo del Caravaggio? Per quanto riguarda questo punto, la critica ha già correttamente proposto una soluzione. Cioè questa scelta sarebbe stata motivata dal fatto che il motivo della testa era particolarmente adatto al soggetto da raffigurare su uno scudo che il cardinale Del Monte donerà al suo superiore, il granduca di Toscana. Come abbiamo visto, la testa della Gorgone svolgeva tradizionalmente una funzione apotropaica su diversi oggetti, ai quali apparterrebbe anche lo scudo del Caravaggio. Inoltre, secondo quanto hanno indicato Friedlaender, Eugenio Battisti e Luigi Salerno, la stessa testa era interpretata, attraverso i suggerimenti degli umanisti del Cinquecento tra cui Ludovico Dolce e Cesare Ripa, anche come il simbolo della sapienza, dell’intelligenza o della prudenza [39]. Dietro la scelta eccezionale della testa di Medusa come il tema dello scudo caravaggesco ci fu molto probabilmente il consapevole riferimento a tale funzione e significato simbolico. In altre parole il motivo della testa medusea fu utilizzato con la duplice intenzione di dedicare un oggetto apotropaico per difendere il granduca dai suoi nemici e di elogiare le sue virtù [40].

Questa scelta del tema, però, potrebbe aver causato un problema in fase successiva di elaborazione del motivo iconografico. Si tratta del fatto che almeno uno degli scudi in acciaio con il rilievo raffigurante la testa di Medusa, sui quali si era basato lo schema dell’opera del Caravaggio, era già stato compreso, con ogni probabilità, nella collezione d’armi dei Medici. Questo fatto doveva essere conosciuto dal cardinale Del Monte nel 1597-98, anno in cui lo scudo del Merisi fu eseguito. Perchè dall’ottobre del 1587 allo stesso mese del 1589 Del Monte, come consigliere personale del granduca in campo sia politico che artistico, aveva soggiornato nella corte medicea di Firenze [41]. È proprio in questo periodo che il granduca iniziò a sistemare le tre sale del Palazzo degli Uffizi per esporre la sua collezione d’armi. Come ha sostenuto Wazbinski, il ben noto conoscitore d’arte Del Monte non poteva non collaborare al servizio di questa sistemazione [42], e quindi in questa occasione doveva vedere numerose armi possedute dal granduca, tra le quali c’era molto probabilmente lo scudo sopra ricordato [Fig. 8] [43].

Questa situazione va analizzata nel suo contesto storico. Cioè, donare nel 1597-98 al granduca uno scudo da parata in legno su cui è dipinta la testa di Medusa, significa che il granduca (e anche i visitatori della sua Armeria) lo avrebbe inevitabilmente messo a confronto con lo scudo in acciaio, già compreso nella sua collezione d’armi, con il rilievo raffigurante lo stesso tema. Lo sguardo del granduca (e dei visitatori della sua Armeria) avrebbe paragonato il dipinto della testa di Medusa con il rilievo della stessa testa. Proprio questa sarebbe stata la ragione per cui nello scudo del Caravaggio veniva visivamente sottolineata la superiorità del suo dipinto sul rilievo in acciaio. Soprattutto nel periodo dell’esecuzione di questo scudo il Caravaggio rimase un pittore sconosciuto e non realizzò nemmeno a Roma, cioè nel luogo principale della sua attività artistica, nessuna opera di destinazione pubblica. Ovviamente a Firenze non c’era alcun dipinto del pittore lombardo [44]. Per un artista in tale situazione lo sguardo del granduca (e dei visitatori della sua Armeria), che avrebbe potuto influenzare la sua futura attività artistica, dovrebbe essere stato un fattore particolarmente importante. Così sullo scudo del Merisi sarebbe stato elaborato un motivo iconografico per manifestare la superiorità del suo dipinto sul rilievo in acciaio, ed infine lo scudo avrebbe preso le sembianze che ora possiamo ammirare.

 

[Fig. 1] Caravaggio, Testa di Medusa, Firenze, Galleria degli Uffizi.
[Fig. 2] Anonimo, Maiolica con la testa di Medusa, Londra, Victoria and Albert Museum.
[Fig. 3] Scuola del Bronzino, Testa di Medusa, già a New York.
[Fig. 4] Pietro Maria Bagnatore (probabilmente su disegno di), Testa di Medusa, Almenno San Salvatore, Santa Maria della Consolazione.
[Fig. 5] Scuola di Alessandro Allori, Perseo con la testa di Medusa, Firenze, Palazzo degli Uffizi.
[Fig. 6] Jacopo Ligozzi, Ritratto di due vipere, Bologna, Biblioteca Universitaria.
[Fig. 7] Filippo e Francesco Negroli, Testa di Medusa, Madrid, Real Armeria.
[Fig. 8] Armaiolo milanese, Testa di Medusa, Firenze, Museo Nazionale del Bargello.
[Fig. 9] Giorgio Vasari, Apelle e il ciabattino, Firenze, Casa Vasari.
[Fig. 10] Benvenuto Cellini, Perseo con la testa di Medusa (particolare), Firenze, Loggia dei Lanzi.
[Fig. 11] Pittore della scuola di Giulio Romano, Lotta tra Centauri e Lapiti, Londra, Victoria and Albert Museum.
[Fig. 12] Giovanni Stradano, Battaglia di Scannagallo, Roma, Museo di Palazzo Venezia.

 

NOTE

[1] Cfr. in particolare, M. Marini, Io Michelangelo da Caravaggio, Roma 1974, pp. 363-364; M. Cinotti, G. A. Dell’Acqua, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Bergamo 1983, pp. 427-429; A. Scappini, Testa di Medusa”, in L’Anima e il Volto. Ritratto e fisiognomica da Leonardo a Bacon, catalogo della mostra, Milano 1998-99, a cura di F. Caroli, Milano 1998, pp. 182-183; M. Marini, Caravaggio «pictor praestantissimus»: l’iter artistico completo di uno dei massimi rivoluzionari dell’arte di tutti i tempi, Roma 2001, pp. 416-417; M. Gregori, “Testa di Medusa”, in Caravaggio e caravaggeschi a Firenze, a cura di G. Papi, Livorno 2010, pp.107-109.
[
2] Sulle numerose immagini della testa di Medusa che furono elaborate nel corso dell’antichità, cfr. Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Zürich-München 1988, vol. IV/1, pp. 285-362.
[3] Cfr. G. Berra, La "Medusa tutta serpegiata" del Caravaggio: fonti mitologico-letterarie e figurative, in Caravaggio: la Medusa. Lo splendore degli scudi da parata del Cinquecento, a cura di vari autori, Milano 2004, p. 65. Ma all’inizio del Seicento venne dipinta qualche volta la scena in cui la testa di Medusa appena tagliata da Perseo è lasciata per terra: l’opera eseguita dall’anonimo pittore fiammingo verso il 1610-12 (Firenze, Galleria degli Uffizi); quella dipinta da Peter Paul Rubens nel 1617-18 (Vienna, Kunsthistorisches Museum). In questi dipinti lo schizzo di sangue è utilizzato.
[4] Cfr., in particolare, L. Spezzaferro, La Medusa del Caravaggio, in Caravaggio: la Medusa. Lo splendore degli scudi da parata del Cinquecento, a cura di vari autori, Milano 2004, pp. 19-21; Berra, La Medusa, cit., pp. 55-57.
[5] G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’ tempi di papa Urbano VIII nel 1642, Roma 1642, ristampa anastatica, Roma 1970, p. 136; G.P. Bellori, Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, Roma 1672, ristampa anastatica, Sala Bolognese (Bo) 2000, p. 205.
[
6] Sul legame tra il Caravaggio e Del Monte si veda L. Spezzaferro, La cultura del cardinal Del Monte e il primo tempo del Caravaggio, in «Storia dell’arte», 9-10, 1971, pp. 57-92; Z. Wazbinski, Il cardinale Francesco Maria del Monte 1549-1626, Firenze 1994, vol. I, pp. 95-99, 188-196; F. Solinas, Il naturalismo di Caravaggio e il gusto del Cardinal Del Monte, in La Medusa del Caravaggio restaurata, a cura di C. Caneva, Roma 2002, pp. 27-38.
[
7] Sul rapporto tra il cardinale e il granduca si veda Wazbinski, Il cardinale Del Monte, cit., vol. I, pp. 68-143; Collezionismo mediceo e storia artistica. Da Cosimo I a Cosimo II 1540-1621, a cura di P. Barocchi, G. Gaeta Bertelà, Firenze 2002, vol. I, pp. 77-143. 
[
8] Cfr. L.G. Boccia, A due secoli dalla dispersione dell’Armeria Medicea, in Palazzo Vecchio: committenza e collezionismo medicei 1537-1610, a cura di P. Barocchi, Firenze 1980, pp. 117-118; L.G. Boccia, Le armi medicee negli inventari del Cinquecento, in Le Arti del Principato Mediceo, a cura di vari autori, Firenze 1980, pp. 383-405; S.E.L. Probst, La rotella del Caravaggio e la Galleria degli Uffizi, in Caravaggio: la Medusa. Lo splendore degli scudi da parata del Cinquecento, a cura di vari autori, Milano 2004, pp. 29-33.
[9] D. Heikamp, La Medusa del Caravaggio e l’armatura dello Scià ‘Abbâs di Persia, in «Paragone», 17, 1966, pp. 66-67.
[10] Cfr. Wazbinski, Il cardinale Del Monte, cit., vol. I, p. 90.
[11] Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi ASF), Guardaroba Medicea, 204, c. 18 (cfr. A. Conti, Alle origini della Galleria, in Palazzo Vecchio: committenza e collezionismo medicei 1537-1610, a cura di P. Barocchi, Firenze 1980, p. 250; Collezionismo mediceo e storia artistica, cit., vol. I, pp. 359-360).
[12] ASF, Guardaroba Medicea, 513, c. 2 (cfr. G. Gaeta Bertelà, La rotella di Caravaggio nell’Armeria “Nova” di Galleria, in La Medusa del Caravaggio restaurata, cit., p. 43).
[13] Boccia, A due secoli, cit., pp. 117-118.
[14] Wazbinski, Il cardinale Del Monte, cit., vol. I, pp. 96-97.
[15] Su questo aspetto si veda anche J. Varriano, Snake eyes: Caravaggio, Ligozzi, and the Head of Medusa, in «Source», 24, 2004, pp. 14-17.
[16] Berra, La Medusa, cit., pp. 65-67.
[17] L’opinione di Berra, in quanto riconosce nell’opera del Caravaggio una fusione di due distinti scudi (o momenti), sembra affine alle interpretazioni elaborate dagli studiosi seguenti: L. Marin, Détruire la peinture, Paris 1977, pp. 149-182; K. Krüger, Un’immagine inconcepibile: la Medusa del Caravaggio, in Caravaggio e il suo ambiente: ricerche e interpretazioni, a cura di S. Ebert-Schifferer, J. Kliemann, V. von Rosen e L. Sickel, Milano 2007, pp. 35-57; M. Fried, The Moment of Caravaggio, Princeton (N.J.) 2010, pp. 113-117.
[18] ASF, Guardaroba Medicea, 204, c. 18 (cfr. Conti, Alle origini della Galleria, cit., p. 250; Collezionismo mediceo e storia artistica, cit., vol. I, pp. 359-360).
[19] ASF, Guardaroba Medicea, 513, c.2 (cfr. Gaeta Bertelà, La rotella di Caravaggio, cit., p. 43).
[20] G. B. Marino, La Galeria del Cavalier Marino. Distinta in pitture, et sculture, Milano 1620, p. 28. Sul legame tra il Caravaggio e Marino si veda E. Cropper, The Petrifying Art: Marino’s Poetry and Caravaggio, in «Metropolitan Museum Journal», 26, 1991, pp. 193-212.
[21] Sul “paragone” si veda, in particolare, Scritti d’arte del Cinquecento, vol. III, Pittura e scultura, a cura di P. Barocchi, Torino 1978, pp. 465-474; L. Mendelsohn, Paragoni: Benedetto Varchi’s Due Lezzioni and Cinquecento art theory, Ann Arbor (Mich.) 1982, pp. 37-64; P. Hecht, The "paragone debate: ten illustrations and a comment, in «Simiolus», 14, 1984, pp. 125-136; M. Collareta, Le “arti sorelle”. Teoria e pratica del “paragone”, in La Pittura in Italia: Il Cinquecento, a cura di G. Briganti, Venezia 1992, tomo II, pp. 569-580; Pittura e Scultura nel Cinquecento, a cura di P. Barocchi, Livorno 1998; F. Ames-Lewis, The Intellectual Life of the Early Renaissance Artist, New Haven-London 2000, pp. 141-161.
[22] Spezzaferro, La cultura, cit., pp. 82-90.
[23] Sull’attività degli armaioli milanesi si veda S. Leydi, Milan and the Arms Industry in the Sixteenth Century, in Heroic Armor of the Italian Renaissance: Filippo Negroli and his contemporaries, a cura di S. W. Pyhrr e J-A. Godoy, New York 1998, pp. 25-35; S. Leydi, Gli armaioli milanesi del secondo Cinquecento: famiglie, botteghe, clienti attraverso i documenti, in Parate Trionfali: il manierismo nell’arte dell’armatura italiana, a cura di J-A. Godoy e S. Leydi, Milano 2003, pp. 25-55.
[24] Gli scudi (figg.7, 8) hanno rispettivamente un diametro di 59.2cm e di 60cm.
[25] W. Friedlaender, Caravaggio studies, Princeton 1955, p. 87; Heikamp, La Medusa del Caravaggio e l’armatura dello Scià ‘Abbâs di Persia, cit., p. 63.
[26] M. Koshikawa, Apelles’s stories and the "paragone" debate: a re-reading of the frescoes in the Casa Vasari in Florence, in «Artibus et Historiae», 43, 2001, p. 23.
[27] B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, Venezia 1528, a cura di G. Carnazzi, Milano 2000, p.109.
[28] G.P. Lomazzo, Trattato dell’arte della pittura, scoltura et architettura, Milano 1584, in Scritti d’arte del Cinquecento III: Pittura e scultura, a cura di P. Barocchi, Torino 1978, p. 697.
[29] Leonardo da Vinci, Trattato della pittura, a cura di E. Camesasca, Milano 1995, p.42.
[30] B. Varchi, Due lezzioni, Firenze 1550, in Scritti d’arte del Cinquecento III: Pittura e scultura, a cura di P. Barocchi, Torino 1978, p. 528.
[31] ASF, Guardaroba Medicea, 513, cc. 1-2 (cfr. Gaeta Bertelà, La rotella, cit., pp.42-43).
[32] ASF, Guardaroba Medicea, 513, c. 12 (cfr. Gaeta Bertelà, La rotella, cit., p. 47).
[33] L. G. Boccia, E. Coelho, L’arte dell’armatura in Italia, Milano 1967, pp. 326, 336.
[34] A. Weston-Lewis, Annibale Carracci and the Antique, in «Master drawing», 30, 1992, p. 290.
[35] Weston-Lewis, Carracci and the Antique, cit., pp. 290-313.
[36] A.W.G. Posèq, Caravaggio and the Antique, London 1998, pp. 49-53; R. Preimesberger, Paragons and Paragone, Los Angeles 2011, pp. 82-107.
[37] Secondo la mia opinione, scudi in legno rimasti su cui sia dipinta la testa di Medusa sono due: quello recentemente pubblicato da Maurizio Marini come l’originale del Caravaggio (Milano, collezione privata; a mio avviso, però, si tratta probabilmente di una copia); un frammento dello scudo attribuito a Orazio Borgianni (ubicazione ignota (già a Roma, Collezione M. Cellini)). Cfr. M. Marini, Michelangelo da Caravaggio, Gaspare Murtola e “la chioma avvelenata di Medusa”, Venezia 2003, pp. 16, 129. Sullo scudo reso noto da Marini, si veda anche The first medusa, a cura di E. Zoffili, Milano 2011; F. Scaletti, La versione “milanese” della Medusa di Caravaggio: i due volti della Gorgone, in «Art e dossier», 289, 2012, pp. 58-63.
[38] F. Rossi, La Medusa del Caravaggio: ipotesi iconografiche, in Caravaggio: la Medusa. Lo splendore degli scudi da parata del Cinquecento, a cura di vari autori, Milano 2004, p. 48.
[39] Friedlaender, Caravaggio studies, cit., pp. 87-88; E. Battisti, Rinascimento e Barocco, Torino 1960, p. 214; L. Salerno, Poesia e simboli nel Caravaggio. I dipinti emblematici, in «Palatino», 10, 1966, p. 110.
[40] Alcuni studiosi come Corinne Mandel e John Varriano, inoltre, hanno riconosciuto nel tema della Medusa (o del Perseo) il valore particolare per i Medici. Anche tale valore potrebbe aver motivato la scelta del tema come il soggetto dello scudo del Merisi. Cfr. C. Mandel, Perseus and the Medici, in «Storia dell’arte», 87, pp. 168-187; J. Varriano, Leonardo’s lost Medusa and other Medici Medusas from the Tazza Farnese to Caravaggio, in «Gazette des BeauxArts», 130, 1997, pp. 73-80.
[41] Wazbinski, Il cardinale Francesco del Monte, cit., vol. I, pp. 84-86.
[42] Wazbinski, Il cardinale Francesco Maria del Monte, cit., vol. I, pp. 87-90.
[43] Cfr. F. Rossi, Armaiolo milanese in Caravaggio: la Medusa. Lo splendore degli scudi da parata del Cinquecento, a cura di vari autori, Milano 2004, p. 102.
[44] Wazbinski, Il cardinale Francesco del Monte, cit., vol. I, pp. 98-99. Sul legame tra il Caravaggio e Firenze si veda L. Sebregondi, Caravaggio e la Toscana, in Luce e ombra: caravaggismo e naturalismo nella pittura toscana del Seicento, a cura di P. Carofano, Pisa 2005, pp. XLI-LIX; Caravaggio e caravaggeschi a Firenze, a cura di G. Papi, Livorno 2010.