Italian Medieval Sculpture in the Metropolitan Museum of Art and the Cloisters di L. Castelnuovo-Tedesco e J. Soultianan, con contributi di R. Y. Tayar, Yale University Press and Metropolitan Museum, New York 2010
di Linda Pisani
ABSTRACT: The Metropolitan Museum of Art and the Cloisters host more than fifty medieval Italian sculptures. This article presents a critical review of the first, recently published complete catalogue of this impressive collection. According to the author of this review, the strenghts of the text are a useful, communicative approach and an effective dialogue between scientific analyses and historical studies. Furthermore, the review provides the reader with some up to date bibliographical addings and some different points of view in the evaluation of the attributions and in the cronology of some of the artworks included in the catalogue.
La collezione di scultura medievale italiana del Metropolitan Museum, divisa fra la sede centrale del Museo ed i cosiddetti Cloisters, è composta da ben 54 pezzi appartenenti ad un intervallo cronologico compreso fra il IX ed il XV secolo e provenienti da località distribuite lungo tutta la penisola. Essa fornisce un ottimo punto di osservazione sulla produzione scultorea medievale italiana soprattutto perché, per la maggioranza delle sue opere, è possibile ricostruire un preciso ambito di appartenenza.
Non si tratta, dunque, soltanto di frammenti di alta qualità, gratificanti per l’occhio del visitatore, ma di opere che parlano con chiarezza esemplificativa dell’arte fiorita in Italia durante le molteplici stagioni della cosiddetta età di mezzo.
Le sculture della collezione del Metropolitan Museum, grazie ai colori delle loro pietre, ai simboli delle loro immagini, alle epigrafi che spesso dichiarano i nomi degli artefici o dei committenti, e grazie agli studi dei curatori del catalogo, Lisbeth Castelnuovo-Tedesco e Jack Soultanian, riescono dunque ad aprire uno spaccato sulla vita medievale e conducono a luoghi precisi, in cui ancor oggi si riconosce il loro specifico contesto d’origine.
Quest’intento, che potremmo definire rappresentativo o didattico, sembra esser stato privilegiato sin dal primo formarsi della collezione, avvenuto, in verità, attraverso iniziative fra loro assai disparate. Il primo nucleo della raccolta, come spiega l’introduzione al catalogo, risale infatti all’interessamento del giovane Wilhelm Valentiner, lo storico dell’arte tedesco che nel 1904 ottenne l’incarico di curatore nel Dipartimento di arti applicate del Museo1, e che era destinato a distinguersi come uno dei maggiori conoscitori della scultura medievale e rinascimentale italiana. Nei decenni successivi la collezione si è ingrandita grazie a lasciti e ad acquisizioni da altre raccolte (come quella, specializzata in scultura medievale, di Joseph Brummer, da cui provengono ben nove opere), ed infine per acquisti sul mercato antiquario, come l’ultimo in ordine di tempo, promosso da Peter Barnett nel 2001, che le ha garantito un raffinatissimo rilievo di Giovanni di Balduccio (cat. 39).
L’intento didattico sotteso alla collezione sembra riflettersi anche in questo catalogo, che si fa apprezzare in primo luogo per la redazione non di fredde schede specialistiche, destinate ai soli studiosi, ma di veri e propri piccoli saggi in cui il lettore è preso per mano dagli autori e può ripercorrere all’indietro il tragitto compiuto dall’opera, dalla sua ideazione fino all’entrata nella collezione. Il lettore, di volta in volta, viene così dotato degli strumenti necessari per decodificare i simboli e il linguaggio figurativo di creazioni tanto distanti dai nostri giorni. Anche le schede tecniche, redatte da Jack Soultanian e corredate da grafici e foto che mostrano con chiarezza le caratteristiche dei marmi e gli strati di colore apposti alle sculture nei secoli, non sono mai frutto di un’erudizione scientifica fine a se stessa, ma dialogano strettamente con l’indagine storica, approdando spesso a risultati estremamente concreti. Si tratta di un equilibrio fra il sapere specialistico e la volontà di renderlo disponibile al lettore non specialista che raramente si raggiunge nelle pubblicazioni scientifiche.
Della collezione fanno parte anche alcuni pezzi preromanici: fra nono e decimo secolo viene datato un rilievo (cat. 1) con la raffigurazione di un motivo di origine sassanide, i grifoni affrontati, diffusosi nelle sculture dell’Italia del Sud attraverso la circolazione dei tessuti. Il rilievo, come spiega Soultanian, è interessante anche per le sue vicende conservative: nato dal riuso di una lastra di marmo proconnesio, quasi certamente ricavata da un sarcofago, fu ridipinto una prima volta, presumibilmente in epoca rinascimentale, ad imitazione del porfido, e una seconda, forse in epoca neoclassica, ad imitazione del marmo di Carrara. Anche il retro della lastra ha rivelato, alle indagini condotte in Museo, la presenza di tracce di pigmenti di diversa origine addensati in un avvallamento della pietra: da qui l’affascinante spiegazione che essa fosse stata riutilizzata, in qualche bottega d’artista, come base per macinare i colori. Ciò si accorderebbe infatti ad uno dei precetti di Cennino Cennini, che nel suo trattato consigliava di appoggiarsi ad una superficie in porfido per svolgere tale funzione. Il pilastro con capitello (cat. 3), per cui in catalogo si propone un riferimento all’Italia centro-meridionale ed una datazione al nono secolo, risulta invece particolarmente intrigante per le sue vicende collezionistiche: come ricorda Castelnuovo-Tedesco, un suo compagno (similissimo per motivi decorativi, dimensioni e materia) si trova oggi al Bode Museum di Berlino. Entrambi furono venduti dall’antiquario fiorentino Stefano Bardini, che, aggiungo, aveva riutilizzato il frammento newyorkese come base per presentare la Madonna di Andriolo de Santi, oggi parte della collezione Longari di Milano, dando luogo ad una disinvolta ricostruzione antiquariale (fig. 1)2. Ancora riferito al nono-decimo secolo è il rilievo, probabilmente parte di un tramezzo, che presenta una famiglia di leoni di fronte ad un albero (cat. 4, fig. 2). Il motivo iconografico, diffuso nei bestiari medievali, deriva, come sottolinea Castelnuovo-Tedesco, dal cosiddetto Fisiologo, un testo antico di origini e datazione incerte, che presenta una rassegna di animali le cui caratteristiche sono interpretate in chiave allegorica. Secondo il Fisiologo infatti «quando la leonessa genera il suo piccolo, lo genera morto, e custodisce il figlio finchè il terzo giorno giungerà il padre, gli soffierà sul volto e lo desterà. Così anche il Dio nostro onnipotente, il Padre di tutte le cose, il terzo giorno ha resuscitato dai morti il suo Figlio, primogenito di tutte le creature, il signor nostro Gesù Cristo, affinché salvasse il genere umano smarrito»3. Per quanto riguarda la lettura dello stile, l’autrice della scheda ben sottolinea un possibile inquadramento del rilievo in ambito campano, per evidenti confronti con altre lastre raffiguranti il medesimo soggetto. Si può semmai aggiungere che rilievi simili (e tutti di difficile datazione), caratterizzati dall’insistenza sulla raffigurazione dei genitali degli animali come si vede nella lastra del Metropolitan, oltre che in area campana, si incontrano anche in Sardegna, per esempio nel caso dei plutei di Maracalagonis resi noti da Renata Serra (fig. 3)4.
Anche alcune delle sculture romaniche del Metropolitan si rivelano interessanti per la loro inconsueta iconografia: è il caso del capitello a stampella, di probabile origine campana (cat. 9) che reca la raffigurazione di alcuni cavalieri inseguiti da mostri. La scheda del catalogo, sulla scorta degli studi di Francesco Gandolfo, spiega infatti che le immagini dei cavalieri non erano affatto insolite nei chiostri medievali, evocando, come ebbe modo di ricordare san Bernardo nell’Apologia ad Guillelmum, l’allegoria della vita violenta, contraria alle regole della condotta cristiana5.
Oltrechè dalla Campania, un numero consistente di sculture proviene dalla Toscana nord occidentale. Fra queste ricordo due enigmatiche figure maschili riferibili ad un seguace di Biduino noto agli studi come ‘Maestro di Santa Maria la Bianca’. Di tale artista, attivo all’alba del Duecento, si conoscono pochi frammenti scultorei, forse un tempo parte del pulpito della chiesa lucchese di Santa Maria Forisportam (detta anche la Bianca). Di suo, a Lucca, restano una figura acefala conservata al Museo di Villa Guinigi, una scena del Lavacro di Gesù Bambino neonato a Palazzo Mazzarosa ed una Madonna col Bambino oggi ricollocata nella lunetta del portale sinistro della stessa chiesa di Santa Maria Forisportam (fig. 4). Si tratta di un maestro dallo stile molto riconoscibile, caratterizzato da panneggi minuziosamente descritti e dalla propensione per la raffigurazione architettonica. Queste ultime peculiarità, insieme all’assenza dei piedi, caratterizzano sia l’Apostolo ai Cloisters (cat. 17, fig. 5), forse inizialmente concepito come reggileggìo, sia la Madonna sulla facciata della chiesa lucchese (fig. 4), tanto da far pensare che entrambe le sculture provengano dallo stesso complesso. Di sicuro l’Apostolo oggi a New York a metà Settecento era parte della collezione dell’erudito lucchese Tommaso Bernardi, come ha individuato Antonio Milone e come si ricorda in catalogo. A differenza però di quanto sostiene Castelnuovo-Tedesco, ritengo che anche la frammentaria figura di Pellegrino al Metropolitan (cat. 18, fig. 6), in cui è facile ravvisare lo stesso particolarissimo modo di delineare i panneggi, sia da ascrivere al ‘Maestro di Santa Maria Forisportam’, in accordo con quanto afferma Guido Tigler, per il quale potrebbe persino appartenere allo stesso pulpito già in Santa Maria Forisportam, a cui sembrano in effetti riconducibili tutti i frammenti finora ascrivibili al Maestro lucchese6.
Per alcune delle sculture romaniche appartenenti alla collezione è possibile ricostruire il contesto originario con gran precisione: è quanto avviene per l’Annunciazione (cat. 19) di cui è nota una provenienza dal pulpito della chiesa di San Leonardo ad Arcetri, a sua volta già nella chiesa fiorentina di San Pier Scheraggio che nel tardo Cinquecento iniziò ad esser smantellamenta per far posto al Palazzo degli Uffizi. In aggiunta all’ottima sintesi sulle vicende del pulpito prodotta nella scheda del catalogo, ricorderei anche l’ipotesi di Tigler secondo il quale avrebbe potuto esserne parte, forse con la funzione di reggilibro, anche un David citaredo oggi nei depositi del Museo dell’Opera del Duomo di Pisa (fig. 7)7.
Uno dei pezzi romanici più affascinanti dal punto di vista storico è la statua colonna con la rarissima raffigurazione di sant’Ellero (cat. 22, fig. 8), personaggio vissuto fra V e VI secolo ed il cui culto è chiaramente riconducibile località di Galeata, in Romagna, dove nell’alto Medioevo esisteva un’importante abbazia benedettina, già distrutta nel 1279. Proprio nel Museo Mambrini di Galeata è stata da tempo individuata un’altra statua colonna, che, come ricorda Castelnuovo-Tedesco, doveva provenire dallo stesso chiostro in cui era inserito il frammento newyorkese. Anche la statua-colonna del Mambrini, oltre ad esser simile per materia e stile a quella newyorkese, illustra infatti un soggetto raro, adatto alla decorazione di un ambiente monastico in cui, agli occhi dei monaci, poteva facilmente apparire come un esempio di virtù, incoraggiando, come ha notato Miklòs Boskovits, la pratica penitenziale del digiuno: si tratta infatti di un episodio dell’infanzia di san Nicola in cui il santo-neonato sceglie di digiunare, rifiutando perciò di attaccarsi al seno materno8.
Inquadrata correttamente nell’ambito di Guglielmo, autore fra 1159 e 1162 del pulpito della Cattedrale di Pisa, poi spostato a Cagliari per far posto a quello di Giovanni Pisano, è un’acquasantiera con scene della vita di san Ranieri (cat. 15, fig. 9). La Castelnuovo-Tedesco spiega come l’iconografia delle scene raffigurate sulla bacinella ben si connetta all’agiografia di Ranieri, il cui culto era spesso legato a miracoli in cui l’acqua giocava un ruolo importante. Credo inoltre che si potrebbe notare come nell’acquasantiera il santo appaia privo di aureola: non a caso, a mio avviso, visto che Ranieri, come altri personaggi il cui culto fiorì a Pisa in epoca medievale, non venne canonizzato in epoca medievale, contrariamente a quel che si afferma solitamente9.
Ancora a Pisa e alla Toscana ci riconducono altre sculture della collezione: il Metropolitan possiede infatti ben quattro opere di Giovanni Pisano. Si tratta di alcuni frammenti provenienti dai pulpiti scolpiti dal grandissimo artista: un’Aquila reggileggio un tempo appartenente al pulpito di Sant’Andrea a Pistoia, realizzato fra 1298 e 1301, e due frammenti – un Tetramorfo e due pilastrini con Angeli suonatori – provenienti dal pulpito approntato per la Cattedrale di Pisa fra 1302 e 1310. La loro presenza a New York non stupisce, poiché entrambi i pulpiti hanno subìto nel corso dei secoli almeno uno smontaggio e la conseguente ricostruzione è avvenuta con l’apporto di modifiche e la perdita di alcuni pezzi, successivamente messi in vendita ed acquisiti da musei europei e d’oltreoceano10. Per tutti i frammenti giovannei le analisi scientifiche effettuate sulla pietra si sono dimostrate prodighe di conferme e talvolta di importanti rivelazioni. Per l’Aquila (cat. 35) la misurazione della concentrazione di isotopi stabili ha rivelato che la testa è realizzata in marmo pentelico, diverso da quello di Carrara usato per il resto del corpo, facendo capire, per la prima volta, che essa può essere il frutto di un restauro moderno (forse ottocentesco); per gli Angeli suonatori, che originariamente affiancavano la scena del Giudizio Universale, l’osservazione con luce ultravioletta ha chiarito la presenza di un’antica decorazione dipinta sulle vesti ad imitazione di un ricamo; per il Tetramorfo, in cui la testa del san Matteo è saldata da una giuntura al resto del corpo, si è fugato qualsiasi dubbio sull’omogeneità del materiale. Quest’ultimo pezzo, si rivela, come ben sottolineato nella scheda, opera di uno dei collaboratori coinvolti da Giovanni durante la travagliata esecuzione del pulpito pisano (fig. 11). A mio avviso, i lineamenti rregolari del volto dell’evangelista ed il modo in cui è resa la sua capigliatura, aggrovigliata sulla fronte in un grosso boccolo, potrebbero spingere a credere che si tratti, sotto la supervisione di Giovanni, di quel Lupo di Francesco che fu autore di gran parte dell’Arca di sant’Eulalia nella Cattedrale di Barcellona e del pulpito e delle sculture sulla facciata della chiesa di San Michele in Borgo a Pisa (fig. 11)11. Si può anche notare come in questa figura compaia un dettaglio inusuale, presente nelle tre sculture eseguite da Giovanni Pisano per l’altare della Cappella degli Scrovegni e nella Carità del pulpito pisano, ossia un cingolo molto simile al cordiglio francescano e forse, come ha proposto Tigler, allusivo ad un simbolico richiamo all’umiltà12.
Fra le sculture d’ambito gotico del Metropolitan si incontra anche un capitello con quattro teste maschili rappresentanti diverse etnìe. È evidente la sua somiglianza con il capitello del Museo diocesano di Troia, concordemente riferito alla produzione scultorea d’ambito federiciano. Proprio questa somiglianza, in passato, ha fatto persino sospettare che il capitello a New York potesse essere un falso forgiato sull’esempio pugliese. In realtà, recenti indagini, di cui rende conto la scheda, hanno permesso di appurare che il capitello ancor oggi in Puglia (fig. 12) venne scoperto, diventando noto a collezionisti, conoscitori (e falsari), soltanto diversi lustri dopo che l’altro, oggi al Metropolitan Museum (fig. 13), era comparso sul mercato antiquario parigino. Il capitello a New York, realizzato in una pietra di tonalità diversa rispetto a quella usata per l’altro, come prontamente notato nel catalogo, non doveva inoltre provenire dallo stesso edificio in cui trovava posto l’altro. Entrambi i capitelli tuttavia appartenengono alla stessa stagione figurativa e con il loro naturalismo sintetizzano la cultura nata intorno alla corte di Federico II e ricordano le parole con cui il sovrano esprimeva il desiderio di illustrare «ea quae sunt sicut sunt», creando così un ponte verso la straordinaria modernità del linguaggio scultoreo di Nicola Pisano.
Grande spazio, nella collezione del Metropolitan, occupa anche la scultura lignea. Fra i pezzi più significativi si incontra un Crocifisso (cat. 24, fig. 14) che, dopo esser sfuggito per anni ad ogni plausibile inquadramento, oggi, come sintetizza la scheda di catalogo, appare molto meno enigmatico grazie agli studi di Fulvio Zuliani. Lo studioso si è infatti reso conto che l’imponente Cristo tunicato a New York appartiene alla stessa mano (da lui riferita ad una maestranza francese itinerante) attiva all’inizio del Duecento nella lunetta dell’antico portale della chiesa di Santa Giustina a Padova13. Per il Cristo del Metropolitan si è inoltre quasi sempre pensato ad una derivazione iconografica dal Volto Santo lucchese14, ma credo che la Castelnuovo-Tedesco abbia ragione nel riconoscervi soltanto un riflesso dell’antica tradizione del Cristo vestito. In questo esemplare, anche se la croce non è quella originale e perciò non permette di valutare la presenza della caratteristica trilobatura sulle terminazioni, si può infatti notare l’assenza della lunga barba bipartita, che è invece uno dei tratti più distintivi dell’iconografia del Volto Santo15.
Fra le opere che vantano un’origine certa si incontra anche il San Nicola (cat. 42) proveniente dall’omonima parrocchiale del paese di Monticchio, nei pressi dell’Aquila, correttamente inquadrato nell’ambito umbro-abruzzese del terzo quarto del Trecento dalla Castelnuovo-Tedesco. L’opera, affascinante per la sua policromia, riconduce ad un ambito in cui competenze pittoriche e d’intaglio si alternano e si fondono, talvolta, in uno stesso personaggio. A proposito di questa scultura trovo convincente l’accostamento ad un Sant’Eustachio oggi nel Palazzo Vescovile di Sulmona, proposto, dopo la pubblicazione del catalogo qui recensito, da Alessandro Del Priori, che riferisce entrambe le opere ad un artista attivo nel raggio del ‘Maestro di Fossa’, il cosiddetto ‘Maestro del Campo di Giove’ (fig. 15)16.
Fra tanti pregi, vi sono in catalogo anche alcune attribuzioni su cui, a mio avviso, varrà la pena di riflettere ulteriormente. Penso alla Madonna in terracotta riferita a Goro di Gregorio (cat. 40, fig. 16), al frammento lapideo inquadrato nella cerchia di Giovanni di Balduccio (cat. 38, fig. 18) ed alla Madonna lignea riferita al contesto umbro di fine Trecento (cat. 43, fig. 20). Nei primi due casi le attribuzioni non sono formulate ex novo dalla Castelnuovo-Tedesco, ma l’autrice, e per di più con qualche titubanza, si limita ad accoglierle dalla bibliografia fiorita a corredo delle due opere. Per quanto riguarda la raffinata Madonna in terracotta, un tempo completata da un Bambin Gesù, appare poco credibile una datazione alla prima metà del Trecento: non soltanto per il medium che, com’è ben noto, cade quasi in disuso nel corso del Medioevo, ma soprattutto per lo stile, animato da panneggi calligrafici e da tratti appuntiti e delicati nel viso della Vergine. In Italia, la cosa più simile che questa vezzosa Madonnina, col busto arretrato rispetto alle gambe ed il capo inclinato su un lato, riesce a richiamare, potrebbero essere semmai le Virtù disegnate da Jacopo della Quercia nel progetto per la fonte Gaia (fig. 17). Se dunque una datazione al primo quarto del XV secolo mi parrebbe senz’altro più accettabile, potrebbe essere una buona pista per future indagini provare a pensare, come mi suggeriscono Aldo Galli e Guido Tigler, che la terracotta del Metropolitan possa non essere un’opera italiana, bensì forse d’ambito austriaco. Si tratterebbe di un contesto in cui, fra l’altro, si rintracciano esempi d’utilizzo della terracotta indipendenti dalla rinascita d’ambito umanistico riscontrabile in Italia e al quale sembrerebbe ricondurre anche la pur tarda fortuna collezionistica dell’opera.
Problematico mi sembra anche il riferimento alla cerchia di Giovanni di Balduccio del frammento in marmo di Carrara appartenente alla collezione Lehman e caratterizzato dalla raffigurazione di tre teste, probabile allegoria della Prudenza (cat. 38, fig. 18). Le labbra tumide e i nasi schiacciati che dominano questi volti, il modellato addolcito e mai tagliente non ricordano infatti le scelte più tipiche del Balducci, solitamente vincolate, anche nei particolari, ad un linearismo elegante che rievoca, a tratti, persino i modi del grandissimo Simone Martini. Le testine di questo frammento, distanti anche dai capitelli dell’ex chiostro della chiesa di Santa Caterina a Pisa (fig. 19) e da quelli del Camposanto, riferiti dalla critica a Giovanni, sembrano prodotti più antichi, direi piuttosto di orbita nicoliana. Inoltre, Roberto Paolo Novello, condividendo l’esclusione dal catalogo del Balducci di questo marmo, mi fa anche notare come nel capitello Lehman manchi quella definizione delle pupille con una goccia di piombo colata in un incavo, che è invece una delle sigle pressoché costanti dei volti delineati dallo scultore pisano17.
La Madonna lignea (cat. 43, fig. 20) è un’opera praticamente ignorata dagli studi. In catalogo essa viene datata verso il 1380-1400 e riferita genericamente all’Italia centrale, forse all’Umbria. In realtà, a mio avviso, alcune sue caratteristiche suggeriscono una datazione più tarda; mi riferisco alla totale nudità del Bambino18, alla compostezza dell’articolazione del panneggio che quasi fascia la Vergine, lasciandone ben intendere l’anatomia, ed allo scorcio sicuro della mano con cui la Madre sorregge il piccolo Gesù. Si tratta di scelte che fanno pensare ad uno scultore pienamente rinascimentale, forse attivo in una zona periferica.
Avrei qualche riserva anche sulla datazione agli anni trenta del Duecento del Re in trono d’ambito veneto (cat. 27). Si tratta, peraltro, di un’opera sulla cui autenticità proprio le indagini condotte in Museo hanno fugato alcuni dubbi, rivelando come essa sia composta in pietra di Aurisina, in uso nel Nord Italia non oltre il Trecento. Castelnuovo-Tedesco ne ripercorre le vicende ed è del tutto condivisibile la sua scelta di accostare questa scultura ad alcune opere d’ambito veneto. Infatti, il Re, secondo Fulvio Zuliani, avrebbe fatto parte di un portale, la cosiddetta ‘Porta da Mar’, un tempo sulla fiancata occidentale della basilica marciana, andando a costituire un insieme narrativo con alcune sculture più antiche riferibili al ‘Maestro dei Mesi di Ferrara’ e con altre più tarde e ad essa coeve come il Massacro degli Innocenti della Ca’ d’Oro di Venezia19. Mi chiedo dunque se una cronologia sull’inizio del Trecento, come quella per cui opta Zuliani, potrebbe render conto in modo migliore di alcuni dettagli come il ghirigoro di pieghe del manto del Re, di sapore pienamente gotico e forse meno facilmente confrontabile col lessico del ‘Maestro dei Mesi di Ferrara’ o di altri scultori di primo Duecento.
Fra le opere più tarde, direi ormai rinascimentali, inserite in catalogo20 si distingue il trittico in marmo firmato da Andrea da Giona e datato 1434. Si tratta di un’opera che vanta una provenienza certa dalla chiesa dei cavalieri del Santo Sepolcro a Savona. Un’epigrafe dichiara il nome dell’autore, tale Andrea, originario di Giona, cioè di un paesino vicino a Carona, nell’odierno Canton Ticino. Si tratta di uno scultore, come ben visto dalla Castelnuovo-Tedesco, assimilabile per cultura al folto gruppo di opere che la critica in tempi recenti ha restituito agli autori della tomba di Vitaliano Borromeo all’Isola Bella, individuati dai documenti in Filippo Solari ed Andrea da Carona. Trattandosi di una bottega molto ramificata ed attiva a Venezia, in ambito padano ed in Liguria, la scultura newyorkese, datata e firmata, apre interessanti questioni. Il problema più evidente è se accettare, come sembra propensa a fare la Castelnuovo-Tedesco, l’identità di Andrea da Giona con lo stesso Andrea da Carona - una soluzione plausibile, considerando che Giona è praticamente una frazione di Carona21 - oppure limitarsi a vedere nell’autore del trittico a New York un modesto collaboratore del capobottega, come pare preferire Giancarlo Gentilini, che, notandone giustamente alcune debolezze, lo definisce «uno scultore mediocre e poco dotato di senso plastico»22. Per quanto mi riguarda, credo che abbia ragione Aldo Galli, che intervenendo sull’argomento ha affermato: «un giorno nuove scoperte documentarie permetteranno forse di chiarire questo punto, ma per noi è più importante sottolineare come, nonostante scarti di qualità anche molto sensibili ed evidenti diversità di mano, all’interno del vasto catalogo raccolto dagli studi prevale sempre una sostanziale coerenza di linguaggio stilistico: tutte queste sculture partecipando di soluzioni figurative, di consuetudini tecniche, di un repertorio iconografico comuni e sempre ben riconoscibili»23. E infatti, come ha illustrato Castelnuovo-Tedesco, la tavola d’altare del Metropolitan pur essendo stata scolpita per Savona ben si legge in parallelo alla tomba Branda Castiglioni nella lombardissima Castiglione Olona. Come spiega Galli, tuttavia, se per l’anagrafe quattrocentesca i Da Carona sono lombardi, il loro linguaggio non ha quasi nulla di lombardo ed è invece molto debitore alla cultura veneziana ed al soggiorno nella città lagunare di Lorenzo Ghiberti. Infatti, vale la pena di notare come anche nel Cristo in gloria del trittico newyorkese si ravvisi una citazione dalla figura del Sant’Ambrogio della Porta Nord del Battistero fiorentino: una sigla tanto amata dai caronesi da riapparire di tanto in tanto nel loro repertorio (fig. 21)24.
Tante altre sarebbero le questioni con cui questo catalogo, corredato di immagini di alta qualità, di una bibliografia aggiornata e di ottimi indici, spingerebbe a confrontarsi. Le lascio al lettore e concludo dicendo che il catalogo della scultura italiana medievale del Metropolitan Museum è un volume di cui si sentiva la mancanza: un utilissimo punto di partenza per rinnovati approfondimenti sulle problematiche a cui si collegano queste opere, oltrechè un ottimo strumento nelle mani di collezionisti ed amatori dell’arte.
Desidero ringraziare vivamente tutti gli studiosi che hanno accettato di discutere con me singoli aspetti legati allo studio della scultura italiana medievale del Metropolitan Museum, consentendomi di citare i loro suggerimenti nel testo. Ringrazio in particolare: Alessandro Delpriori, Andrea De Marchi, Aldo Galli, Roberto Paolo Novello e Guido Tigler. Dedico questo testo al ricordo di Michael Knut.
IMMAGINI
1. Andriolo de Santi, Madonna col Bambino e Pilastro con Capitello (nell’allestimento Bardini ante 1918), da S. Tumidei,Scheda 13, in Dalla Bibbia di Corradino a Jacopo della Quercia. Sculture e miniature italiane del Medioevo e del Rinascimento, catalogo della mostra (Milano 1997) a cura di A. Bacchi, Milano 1997, fig. p. 49.
2. Rilievo con famiglia di leoni, New York, Metropolitan Museum da L. Castelnuovo-Tedesco e J. Soultanian, Italian Medieval Sculpture in the Metropolitan Museum of Art and Cloisters, New York 2010, fig. 4, p. 15.
3. Rilievo con leone, Maracalagonis (Cagliari), da R. Serra, I plutei tardobizantini dell’isola di San Macario e di Maracalagonis (Cagliari), in ‘Archivio Storico Sardo’, XXX, 1976, fig. 5.
4. ‘Maestro di Santa Maria La Bianca’, Madonna col Bambino, Lucca, chiesa di Santa Maria Forisportam.
5. ‘Maestro di Santa Maria La Bianca’, Apostolo, New York, Metropolitan Museum da L. Castelnuovo-Tedesco e J. Soultanian,Italian Medieval Sculpture in the Metropolitan Museum of Art and Cloisters, New York 2010, fig. 17, p. 75.
6. ‘Maestro di Santa Maria La Bianca’, Pellegrino, New York, Metropolitan Museum da L. Castelnuovo-Tedesco e J. Soultanian,Italian Medieval Sculpture in the Metropolitan Museum of Art and Cloisters, New York 2010, fig. 18, p. 81.
7. David Citaredo, Pisa, Depositi del Museo Nazionale di San Matteo, da G. Tigler, Proposta di restituzione ed interpretazione del pulpito di San Leonardo in Arcetri, in ‘Antichità Viva’, XXXVI, 1997, n. 5-6, fig. 27, p. 27.
8. Sant’Ellero, New York, Metropolitan Museum da L. Castelnuovo-Tedesco e J. Soultanian, Italian Medieval Sculpture in the Metropolitan Museum of Art and Cloisters, New York 2010, fig. 22, p. 93.
9. Seguace di Guglielmo, Fonte Battesimale, New York, Metropolitan Museum da L. Castelnuovo-Tedesco e J. Soultanian,Italian Medieval Sculpture in the Metropolitan Museum of Art and Cloisters, New York 2010, fig. 15, p. 61.
10. Lupo di Francesco (?), Tetramorfo, New York, Metropolitan Museum da L. Castelnuovo-Tedesco e J. Soultanian, Italian Medieval Sculpture in the Metropolitan Museum of Art and Cloisters, New York 2010, fig. 37, p. 167.
11. Lupo di Francesco, Angelo aptero presenta l’abate di San Michele in Borgo alla Vergine, Pisa, Museo nazionale di San Matteo, da M. Burresi, Il sepolcro della Gherardesca: ricostruzione per anastilosi mediante grafica tridimensionale, Pisa 1996.
12. Capitello con teste angolari, Troia, Museo della Cattedrale, da Exempla. La Rinascita dell’antico nell’arte italiana. Da Federico II ad Andrea Pisano, (catalogo della mostra, Rimini, Castel Sismondo 2008), Pisa 2008, pp. 136-137.
13. Capitello con quattro teste, New York, Metropolitan Museum da L. Castelnuovo-Tedesco e J. Soultanian, Italian Medieval Sculpture in the Metropolitan Museum of Art and Cloisters, New York 2010, fig. 30, p. 137.
14. Crocifisso, New York, Metropolitan Museum da L. Castelnuovo-Tedesco e J. Soultanian, Italian Medieval Sculpture in the Metropolitan Museum of Art and Cloisters, New York 2010, fig. 24 p. 101.
15. ‘Maestro di Campo di Giove’, San Nicola (particolare), New York, The Cloisters e (a destra) ‘Maestro di Campo di Giove’,Sant’Eustachio (particolare), Sulmona, Palazzo Vescovile, da A. Delpriori, Produzione figurativa a Spoleto e in Valnerina nel XIV secolo,. Problemi, contesti, casi esemplari, tesi di dottorato (Università di Firenze, 2011), tutor Prof. A. De Marchi, pp. 363-368.
16. Scultore austriaco di primo Quattrocento (?), New York, Metropolitan Museum da L. Castelnuovo-Tedesco e J. Soultanian,Italian Medieval Sculpture in the Metropolitan Museum of Art and Cloisters, New York 2010, fig. 40 p. 181 (come Goro di Gregorio).
17. Jacopo della Quercia, Progetto per la Fonte Gaia, Metropolitan Museum of Art, New York, da J. Beck, Jacopo della Quercia, New York 1991, figg. 20-21, pp. 216-217.
18. Seguace di Nicola Pisano, Capitello con Allegoria della Prudenza, New York, Metropolitan Museum da L. Castelnuovo-Tedesco e J. Soultanian, Italian Medieval Sculpture in the Metropolitan Museum of Art and Cloisters, New York 2010, fig. 38, p. 172 (come Giovanni di Balduccio).
19. Giovanni di Balduccio, Capitello, Francoforte, Liebieghaus, da in Niveo de marmore. L’uso artistico del marmo di Carrara dall’XI al XV secolo, catalogo della mostra (Sarzana 1992), Genova 1992, fig. 57b, p. 249.
20. Scultore rinascimentale, Madonna col Bambino, New York, Metropolitan Museum da L. Castelnuovo-Tedesco e J. Soultanian, Italian Medieval Sculpture in the Metropolitan Museum of Art and Cloisters, New York 2010, fig. 43, p. 209 (centroitaliano, forse umbro 1380-1400).
21. L. Ghiberti e Maestro caronese, in A. Galli, Introduzione alla scultura di Castiglione Olona, in Lo specchio di Castiglione Olona. Il palazzo del cardinal Branda e il suo contesto, a cura di A. Bertani, Varese 2009, figg. 48-50.
NOTE
1 Non a caso, Lionello Venturi nell’obituario dello studioso tedesco affermò: «Dovunque Valentiner si fermava, un nuovo museo sorgeva» (L. Venturi, In memoriam of W.R. Valentiner, in ‘Bullettin of the North Carolina Museum of Art’, III, 1959, p. 39. La figura di Valentiner è stata di recente presa in esame nel saggio di E. Neri Lusanna, “Consacrare gli studi all’arte dedalea”: l’avvio alle ricerche sulla scultura italiana del Medioevo ed il contributo di Wilhelm Reinhold Valentiner (con una digressione filologica), in Medioevo: Arte e Storia, a cura di A. C. Quintavalle, Milano 2008, pp. 597-608:598-604.
2 S. Tumidei, Scheda 13, in Dalla Bibbia di Corradino a Jacopo della Quercia. Sculture e miniature italiane del Medioevo e del Rinascimento, catalogo della mostra (Milano 1997) a cura di A. Bacchi, Milano 1997, pp. 48-49.
3 La citazione è tratta da E. Zambon (a cura di), Il Fisiologo, Milano 1982 (2), p. 40.
4 R. Serra, I plutei tardobizantini dell’isola di San Macario e di Maracalagonis (Cagliari), in ‘Archivio Storico Sardo’, XXX, 1976, pp. 59-76, dove i frammenti sono riprodotti alle figg. 5-6. Per una recente sintesi sui plutei sardi del X secolo cfr. A. Ducci, Scheda 80, in Lucca e l’Europa. Un’idea di Medioevo. V-XI secolo, catalogo della mostra (Lucca 2010-2011), Lucca 2010, pp. 170-171.
5 F. Gandolfo, Gropina: le vicende del programma decorativo di una pieve toscana, Parma 2005, pp. 249-259.
6 Ho l’impressione che il parere dello studioso sia stato riportato nelle due schede (soprattutto p. 78 nota 8) in modo inesatto. Tigler, parlando di alcuni leoni e draghi nella parte alta della facciata di Santa Maria Forisportam (per uno dei quali si ipotizza una provenienza da un pulpito in Santa Maria Forisportam in C. Baracchini e M. Filieri, De Ore leonis libera me domine, in Niveo de marmore. L’uso artistico del marmo di Carrara dall’XI al XV secolo, catalogo della mostra tenutasi a Sarzana, Genova 1992, p. 129) di cui esclude l’inserimento nel gruppo, afferma infatti «I frammenti sparsi fra Santa Maria Forisportam, Villa Guinigi, la Collezione Massarosa a Lucca, il Museo Bardini di Firenze e i Cloisters di New York, riferibili al Maestro di Santa Maria Forisportam e da ritenere parti del pergamo di questa chiesa, sono infatti stilisticamente diversi, databili ai primi del Duecento». La diversità stilistica a cui allude lo studioso è chiaramente da intendersi rispetto ai leoni e draghi della facciata, e non fra i singoli numeri del raggruppamento già consolidato come parrebbe invece evincersi dal catalogo del Metropolitan (G. Tigler, “Carfagnana bonum tibi papa scito patronum” Committenza e politica nella lucchesia del Duecento. Pergami, cancelli, fonti battesimali e un’acquasantiera a Decimo, Brancoli e Barga, in Lucca città d’arte e i suoi archivi, atti del convegno,Firenze 2000, a cura di M. Seidel e R. Silva, Venezia 2001, p. 136 nota 59). Tornando sull’argomento, lo stesso studioso ha affermato che l’Apostolo reggicartiglio, pur riferibile alla stessa mano, potrebbe provenire da un diverso pulpito (G. Tigler, Toscana Romanica, Milano 2006, p. 253).
7 G. Tigler, Proposta di restituzione ed interpretazione del pulpito di San Leonardo in Arcetri, in ‘Antichità Viva’, XXXVI, 1997, n. 5-6, pp. 22-28.
8 Per quest’interpretazione rinvio a M. Boskovits, Insegnare per immagini: dipinti e sculture nelle sale capitolari, in ‘Arte Cristiana’, LXXVIII, 1990, pp. 123-142: 123.
9 Per la questione relativa alla canonizzazione, che l’arcivescovo di Pisa Federigo Visconti ancora auspicava nella seconda metà del Duecento, cfr. L. Richards, San Ranieri of Pisa: a civic cult and its expression in text and image, in Art, Politics, and Civic Religion in Central Italy 1261-1352, a cura di J. Cannon e B. Williamson, Cambridge 2000, pp. 179-236. È più tardi, nel corso del Trecento, che a Pisa Ranieri è sistematicamente raffigurato come santo. Ricordo però come una delle immagini più spesso citata come esempio della sua iconografia, ossia l’insegna processionale conservata presso il Museo Nazionale di San Matteo a Pisa e dipinta da Antonio Veneziano raffiguri invece san Guglielmo di Malavalle, come ha recentemente dimostrato Daniela Parenti (Lo stendardo processionale di Antonio Veneziano nel Museo nazionale di San Matteo a Pisa, in Da Giotto a Botticelli. Pittura fiorentina tra Gotico e Rinascimento, a cura di F. Pasut e J. Tripps, Firenze 2008, pp. 97-109).
10 Sul pulpito di Pistoia, che ha subito minori modifiche rispetto a quello pisano, si vedano da ultimo le precisazioni di P. Dent, Laude dei Trini: observations towards a reconstruction of Giovanni Pisano’s Pistoia pulpit, in ‘Journal of the Warburg and Courtauld Institutes’, LXXI, 2008, pp. 121-138.
11 Per Lupo di Francesco cfr. J. Bracons Clapés, Lupo di Francesco, mestre pisà, autor del sepulcre de Santa Eulàlia in La Catedral de Barcelona, Barcelona 1993, pp. 43-51; M.G. Burresi, Il sepolcro della Gherardesca. Ricostruzione per anastilosi mediante grafica tridimensionale, Pisa 1996, pp. 43-48; S. Masignani, Tino di Camaino e Lupo di Francesco, in ‘Prospettiva’, 87/88, 1997, pp. 112-119. Da ultimo cfr. C. Di Fabio, Gli scultori del monumento del cardinale Luca Fieschi nella Cattedrale di Genova. Precisazioni e proposte, in Per Arnolfo, ‘Bollettino d’Arte’ ser. 7, 1, 2011, pp. 263-288.
12 G. Tigler, L’apporto toscano alla scultura veneziana del Trecento, in Il secolo di Giotto nel Veneto, a cura di G. Valenzano e F. Toniolo, Venezia 2007, pp. 241-242.
13 F. Zuliani, Il Crocifisso del Metropolitan Museum ed il portale di Santa Giustina, sulle tracce di una maestranza francese in viaggio, in De Lapidibus Sententiae. Scritti di Storia dell’Arte per Giovanni Lorenzoni, a cura di T. Franco e G. Lorenzoni, Padova 2002, pp. 441-448. Da ultimo la sottolineatura della cultura di matrice francese del Crocifisso è riproposta da L. Mor, Per una geografia artistica della scultura lignea monumentale nell’Alto Adriatico: alcuni crocifissi tardo-romanici tra l’Istria e l’isola di Sansergio, in Medioevo Adriatico: circolazione di modelli, opere, maestri, a cura di F. Toniolo e G. Valenzano, Roma 2010, pp. 90 e nota 10; segnalo inoltre che nella stessa sede (p. 97) Mor concorda anche col giudizio di Michael Semff sui Dolenti lignei dei Cloisters (cat. 29) inquadrandoli, diversamente da quanto proposto in catalogo, nella temperie artistica alto-adriatica.
14 L’inquadramento del Volto Santo di Sansepolcro risulta più controverso e complesso di quanto si può recuperare dal veloce e sintetico riferimento della scheda (cat. 24); per una sintesi del dibattito critico fiorito negli ultimi anni rinvio a P. Refice, Riflessioni sul Volto Santo di Sansepolcro in Arte in Terra d’Arezzo. Il Medioevo, a cura di M. Collareta e P. Refice, Firenze 2010, pp. 83-89.
15 Per una recente riflessione sulla diffusione del modello del Volto Santo cfr. A. Caleca, L’iconografia del Volto Santo, in Sacre Passioni. Scultura lignea a Pisa fra XII e XV secolo, catalogo della mostra (Pisa 2000-2001) a cura di M. Burresi, Pisa 2000, pp. 148-151
16 A. Delpriori, Produzione figurativa a Spoleto e in Valnerina nel XIV secolo,. Problemi, contesti, casi esemplari, tesi di dottorato (Università di Firenze, 2011), tutor Prof. A. De Marchi, pp. 363-368.
17 Ringrazio vivamente lo studioso per questo parere, fornitomi in una comunicazione via e-mail del 17-4-2011.
18 È vero che si conoscono alcuni esempi di sculture (ad esempio la Madonna col Bambino attribuita a Goro di Gregorio in R. Bartalini, Scultura gotica in Toscana. Maestri, monumenti, cantieri del Due e Trecento, Milano 2005, figg. 158-160) e di dipinti trecenteschi in cui il Bambino è presentato nudo o coperto da un velo (cfr. L. Steinberg, The sexuality of Christ in Renaissance Art and in modern oblivion, New York 1983), ma il motivo è molto più diffuso nel corso del Quattrocento.
19 F. Zuliani, Il ruolo della scultura nella Venezia medievale, in I Tesori della Fede: oreficeria e scultura nelle chiese di Venezia, a cura di A. Augusti, Venezia 2000, pp. 441-448. Come viene ricordato in catalogo ed analogamente a quanto vi viene proposto, le sculture vengono datate tutte verso il 1230 già in L. V. Geymonat, Un Erode veneziano al Metropolitan, in Per Giovanni Romano, scritti di amici, a cura di G. Agosti, G. Dardanello, G. Galante e A. Guazza, Savigliano 2009, pp. 90-91.
20 Ormai pienamente rinascimentale è anche il linguaggio di Paolo Aquilano a cui si deve la Vergine in Adorazione (cat. 54).
21 L. Castelnuovo-Tedesco (A late gothic sculture from Italy in The Cloisters: studies in honor of the fiftieth anniversary, a cura di E. C. Parker, M. Spheperd, p. 456) fa notare come Pietro Paoletti, esaminando molti documenti veneziani riferiti a Giorgio da Carona, scultore attivo nel terzo quarto del Quattrocento, lo trovi spesso citato come «da Chiona», che dovrebbe essere il termine veneziano per «Giona».
22 G. Gentilini, Virtù ed eroi di un’impresa dimenticata: il monumento di Vitaliano e Giovanni Borromeo, in Scultura lombarda del Rinascimento: i monumenti Borromeo, a cura di M. Natale, Torino 1997, pp. 69-78.
23 A. Galli, Introduzione alla scultura di Castiglione Olona, in Lo specchio di Castiglione Olona. Il palazzo del cardinal Branda e il suo contesto, a cura di A. Bertani, Varese 2009, pp. 55-73.
24 R. J. Stemp, Sculpture in Ferrara in the Fifteenth Century: Problems and Studies, Ph.d diss, University of Cambridge, 1992, p. 84; Galli (cit. a nota 23) per alter occorrenze dello stesso motivo.