di Annamaria Ducci
« Je n’ai pas d’imagination. Elle ne me vient qu’avec le toucher et les yeux. Sans ces deux éléments, le cerveau ne fonctionne pas »
(César)
Per la sua eccezionale complessità la mano umana – vera e propria macchina agente e pensante – ha suscitato da sempre le riflessioni di scienziati e filosofi, che ne hanno investigato la funzionalità ed il ruolo nei processi di conoscenza, comunicazione e creazione (tecnologica ed artistica), tenendo ben presente la tappa cruciale dell’emancipazione dell’arto nel processo evolutivo dell’homo. La mano continua ancor oggi (in una società post-industriale, dominata in gran parte da una comunicazione “visiva”) a provocare un’affascinata attenzione da parte del mondo degli intellettuali e degli artisti. Nella mano, più che in altre porzioni anatomiche, si individua la “sineddoche dell’uomo”, così captato nella sua concretezza corporea, ma anche nella nobiltà intellettuale e morale della sua operosità.
Non pochi momenti di riflessione sono stati dedicati alla mano negli ultimi due decenni, tutti di grande rilievo scientifico, sintomo di una rinnovata “alleanza” tra scienze naturali e umane, in particolare artistiche[1]. Si tratta infatti di studi con un approccio allargato ed interdisciplinare – antropologico – [2], in cui il tema della mano è analizzato spaziando dall’aspetto anatomico-evolutivo, a quello medico-chirurgico, a quello filosofico, a quello socio-politico; in questi contesti l’aspetto artistico è affrontato necessariamente in modo ampio, tenendo insieme la presenza significativa della mano nelle produzioni letteraria-poetica, figurativa, musicale, teatrale[3]. In ambito puramente filosofico non sono mancati studi che hanno sceverato il problema della mano nella sua dimensione estesica (nella problematica relazione vista/tatto), o più propriamente poietica (occhio/mano), con particolare riferimento alle teorie dell’arte di primo Novecento[4].
Chirurgia della creazione. Mano e arti visive si è voluto intitolare questo numero di Predella, facendo riferimento al contempo al senso etimologico di cheirourgia, come “lavoro della mano”, e al meraviglioso paragone tra mano chirurgica e mano artistica che ci ha consegnato Paul Valéry[5]. Il volume vuole infatti analizzare la specificità della mano all’interno del processo creativo nelle arti figurative, sondandone la presenza invisibile (o intuibile) all’interno dell'opera finita, e tenendo conto delle implicazioni teoriche (estetiche, ma anche culturali in senso ampio, sociali, ideologiche) connesse all'importanza assegnata alla mano stessa nell’arte e al riconoscimento del gradiente manualità/lavoro nell’atto artistico. Il ruolo attivo della mano in ambito specificamente artistico si precisa a vari livelli: cognitivo (in riferimento ad esempio alla percezione dello spazio, ai modi di rappresentazione della forma, o alle modalità di conduzione dei segni), esplorativo-creativo (nella relazione con l’idea), manipolatorio-fabbrile (con particolare insistenza sul rapporto dell’arto con materie e strumenti). Alle premesse filosofiche è dedicato il primo, necessario saggio del volume, in cui Eva del Soldato mette in luce le radici aristoteliche del rapporto mano/intelletto, che danno vita ad un dibattito dalle opposte posizioni, poi recepito in età moderna nel pensiero di Alberti, Ficino, Campanella, Bruno. Su questo filone insiste con acume il saggio di Hans Körner, partendo dal rapporto vista/tatto così come formulato nello scritto di Herder Plastik, ove affiora l’idea della mano “vedente”, che incontriamo anche in Diderot[6], fondamento teorico dell’estetica settecentesca e protoromantica.
Grande fortuna ha conosciuto il tema della rappresentazione delle mani nelle opere d’arte, ossia sotto il profilo dell’iconografia; tema affascinante che si lega anche al gusto per il frammento, per un détail (nell’accezione arassiana) particolarmente ricco di implicazioni semantiche, dallo straordinario potere di transfert emozionale tra quadro e spettatore[7]. Degno di nota il caso particolare della presenza e del ruolo della mano nei ritratti ed autoritratti degli artisti[8], emblematizzata da Parmigianino, discussa in questa sede da un ampio e variegato excursus “multimediale” di Tommaso Casini, che apre alla questione dell’autocoscienza dell’artista. Purtroppo non è stato possibile inserire un contributo che si muovesse nell’ambito della rappresentazione dell’artista nel Medioevo e del correlato tòpos della docta manus nelle iscrizioni-firma, pioneristicamente inaugurato dalle ricerche di Enrico Castelnuovo e di Gigetta Dalli Regoli, e sviluppato dai relativi gruppi di allievi: una mancanza essenziale, ma che sarà colmata in altra sede. Leonardo e Michelangelo sono, come è noto, gli artisti paradigmatici della mano rinascimentale; alle loro soluzioni iconografiche, ma anche alle loro modalità esecutive che spesso rifiutano lo strumento per concentrarsi sulla sola mano, dedica una raffinata riflessione Gigetta Dalli Regoli. La sua indagine va ad inserirsi in modo originale entro un fortunato filone di studi, dedicato al tòpos della mano d’artista nel Rinascimento, ed in particolare a quella di Michelangelo, così come tramandotaci dagli stessi scritti dell’artista e, naturalmente, da Vasari[9]. Anne Bloemacher ci parla diffusamente della particolare sorte di Raffaello, e della sua immagine – codificata da Lessing – di sommo artista «senza mani», una sorta di “alter topos” che ha in realtà origini antiche e che finirà per imporsi nella critica della Francia post-rivoluzionaria. Il caso emblematico di Goltzius – novello Michelangelo – è invece affrontato con competenza da Andreas Gormans, il quale traccia una linea iconografica e critica del paragone tra la mano dell’artista olandese, quella del Mosé della tomba di Giulio II, e infine quella di Michelangelo stesso. Da parte sua Laurent Baridon affronta con competenza un argomento spinoso, la presenza dissimulata della mano in architettura, che lo studioso mette in luce attraverso l’analisi dell’iconografia dei ritratti e autoritratti di architetti tra XVII e XX secolo[10].
Negli ultimi anni si è assistito ad un infittirsi di studi dedicati alla produzione artistica intesa nei suoi aspetti più concreti: valutazione delle materie e degli strumenti, metodi e processi di fabbricazione, ricostruzione degli atelier e più in generale dell’ambiente in cui l’artista opera[11]. Tali ricerche, spesso concentrate su un singolo periodo, movimento, o anche su un unico artista, permettono di gettare uno sguardo sui reali modi di produzione, ma anche di individuare simbologie legate alle materie e agli strumenti, di comprendere più ampi significati sociali e intenzioni estetiche, connessi proprio alle scelte di tecniche e procedimenti. Sotto questo aspetto l’intervento della mano ed il suo ‘peso’ nel manufatto finale rappresentano un nodo cruciale degno di investigazione. Chiaramente il problema assume un significato speciale nelle arti applicate, ed è proprio per questo che è sembrato doveroso inserire in questo panorama saggi dedicati all’oreficeria, ai tessuti e ricami, ed in generale alla non sempre facile distinzione dei tanti protagonisti che concorrono a realizzare un’impresa decorativa. Il contributo di Francesco Lucchini ha il merito di porre sul tavolo la questione partendo dagli aspetti metodologici, che non possono prescindere da quanto ci offrono oggi le più moderne tecniche di restauro, e ci ricorda al contempo che l’oreficeria medievale è un mondo polisemico e poliautoriale, in cui si affollano più mani e più strati semantici. Più specificamente Cristina Borgioli affronta l’ancora controverso tema del rapporto arti maggiori / arti minori (disegni preparatori e realizzazione), con un’intelligente attenzione alle fonti documentarie per i tessuti del tardo Medioevo e primo Rinascimento. Impostazione dialettica tra uso della letteratura artistica e analisi formale che anima anche la nutrita digressione critica di Fabrizio Corrado e Paolo San Martino, esperti conoscitori delle arti decorative sabaude. Ci è parso infine giusto inserire in questa rassegna eurocentrica un’apertura sulle arti extra-occidentali, nella considerazione che quella della mano è innanzitutto una tematica antropologica. L’appassionante saggio di Yolaine Escande, specialista di pittura cinese, illumina il crinale che separa, anche in Oriente, i precetti della teoria (basata sul ruolo del «cuore» nella creazione) dalla pratica grafica, in cui il pennello fa necessariamente tutt’uno con la mano, unico perno e fulcro del disegnare.
Un ulteriore, innovativo alveo di ricerca punta sulla funzione della mano nei processi di apprendimento e conoscenza, che si attua attraverso il procedimento grafico[12]. In questo senso il programma di ricerca del Max Planck Institut di Berlino Knowledge in the making[13]salda emblematicamente - nell’esplorazione delle molteplici applicazioni del disegno – l’originario legame tra mano e stilo, sia in ambito cognitivo – scientifico, che poietico (letterario e artistico)[14]. Una riflessione che è stata successivamente oggetto di investigazione – a partire dal tema emblematico della ‘linea’ – nel recentissimo convegno fiorentino del CIHA, dedicato a Aesthetics and Techniques of Lines between Drawing and Writing[15]. In questo ambito promettente si muovono alcuni dei saggi qui presentati, come quello di Matthias Krüger, che con finezza illustra l’influsso della grafologia sulla critica d’arte francese tra pittura pompier e Impressionismo, rivedendo categorie-cardine quali la touche e il fini, come portatori di valori morali[16]. È quanto traspare anche dal denso saggio di Donata Levi e Paul Tucker, profondi conoscitori dell’opera - teorica e grafica - di John Ruskin, uno degli emblemi della “manualità” in arte; alla luce di uno scritto tra i meno noti dell’inglese, gli autori mettono a fuoco il suo graduale passaggio verso una considerazione sempre maggiore del “lavoro” dell’artista, alla cui radice si pongono mano, schizzo, linea.
In questo senso è chiaro come il ragionare sulla mano conduca naturalmente a sondare le relazioni tra nozioni-chiave della teoria dell’arte: mano e maniera; mano e idea; mano e stile, nonché la ‘scomparsa’ e i riaffioramenti della mano nel formalismo di primo Novecento. Vero e proprio strumento ermeneutico dell’opera e dello stile di un artista, la mano diviene oggetto delle investigazioni dello storico dell’arte. Perno della connoisseurship, l’apprezzamento della mano in un’opera non soltanto è finalizzato all’attribuzione e al giudizio, ma riflette spesso la temperie culturale ed il contesto storico a cui lo storico dell’arte appartiene[17]. A queste considerazioni si connette un ultimo aspetto critico. Molti sono gli storici dell’arte che, nella fase di consolidamento della Kunstwissenschaft, affiancano l’attività disegnativa a quella scrittoria. Il ricorso al disegno risponde infatti all’esigenza di immedesimazione con l’artista studiato; la riproduzione grafica si impone dunque (prima dell’affermazione della fotografia) come strumento attivo di studio sulle immagini, diviene un vero e proprio “stile della conoscenza” che intrattiene un imprescindibile rapporto con la scrittura. La mano che riproduce un’opera d’arte ne ripercorre le tappe di realizzazione in una modalità alternativa alla tradizionale storia dell’arte descrittiva affidata alla parola – su questa direzione muove il mio saggio, esplorando l’universo grafico di Henri Focillon.
Sono grata agli amici Gerardo de Simone ed Emanuele Pellegrini, non solo per avermi proposto la cura di questo numero di Predella, per avermi supportato, incoraggiato e consigliato, ma proprio per aver concepito e per portare avanti con insana audacia questa tribuna di storia dell’arte. A tutti gli autori - amici o nuovi incontri - va poi il mio sincero ringraziamento per aver aderito con entusiasmo a questo progetto, del quale ognuno di loro ha còlto uno dei sensi possibili, ed a cui ha contribuito con l’apporto della propria competenza scientifica, ma anche con il background della propria tradizione di studi, in un respiro internazionale ed interdisciplinare che fin dall’inizio è stato considerato uno dei requisiti imprescindibili dell’impresa. Molte sono le persone che hanno condiviso con me discussioni sulla mano. Tra tutte mi sento qui di ricordare coloro che mi hanno a vario titolo supportato in un progetto di ricerca più ampio che, spero, troverà altri momenti di approfondimento: Enrico Castelnuovo, Gigetta Dalli Regoli, Maria Carla Gadebusch-Bondio, Gianni Carlo Sciolla, Gerhard Wolf, Henri Zerner, ed in modo particolare l’amico Philippe Cordez, per le sue lucide considerazioni su mano e strumenti. A Giuseppe Andrea L’Abbate e a Gabriele Bucci devo i miei grazie più sentiti per le reiterate richieste di aiuto tecnico. Infine, sono particolarmente grata ad Aurelio Amendola e a sua figlia Francesca, che hanno voluto regalarci la sua foto delle mani di Marcello Jori al lavoro, come immagine di copertina. Questa ci è parsa particolarmente appropriata, da un lato perché Jori svolge da tempo un lavoro da lui stesso definito «chirurgico» sul corpo e l’anima dell’artista[18]: e come non vederlo riprodotto nella splendida foto, in cui le mani sporche di materia pittorica stanno per aggredire la tela, su cui già si proietta, in un’ombra, l’anima dell’artista? D’altronde la raffinata sensibilità di Aurelio Amendola, la sua comprensione profonda del mondo dell’arte, non si spiegano se non con la frequentazione degli atelier, con l’amicizia e il sodalizio con gli artisti, che da sempre egli ha voluto ritrarre al lavoro, nel momento stesso della realizzazione di un’opera che, con lo scattare del diaframma, diventa immediatamente “aperta”.
Aurelio Amendola: Marcello Jori, Monocromo 2011 (Bologna )
Questa raccolta di idee è dedicata a Tancredi, Ettore e Livia, nostro presente e nostro futuro.
[1]Si veda ad es. l’ultimo numero di «Kritische Berichte», 3/2010, dedicato al tema: Kunst und Wissenschaft; ovvero al colloquio Vergleichen, Übersetzen, Verknüpfen, Abschlusstagung des ProDoc Art&Science, Fribourg (CH), December 9-10, 2010.
[2]Per questi aspetti devo molto alle suggestioni di François Poplin, ed in particolare al suo L’outil, la matière et la main dans la profondeur de l’esprit (c.d.s.) che ho potuto consultare in bozze.
[3]P. Cabanne, La main et l'esprit. Artistes et écrivains du XVIIIe à nos jours: destins croisés, Paris 2002; All'incrocio dei saperi: la mano, Atti del Convegno di Studi, Padova, 29-30 settembre 2000, a cura di A. Olivieri, Padova 2004; A. Zimmermann, Hände-Künstler, Wissenschaftler und Medien in der zweiten Hälfte des 19. Jahrhunderts, in «Vorträge aus dem Warburg-Haus», 8, 2004, pp. 135-165; D. Le Nen, L'anatomie au creux des mains: au confluent des sciences et de l'art, Paris 2007; Die Hand – Elemente einer Medizin- und Kulturgeschichte, Internationales Symposium,Greifswald, 28-30 giugno 2007, dir. M. Gadebusch Bondio, Berlin 2010; Lieux de savoir 2. Les mains de l’intellect, dir. Ch. Jacob, Paris 2011.
[4]Ad es. Auge und Hand. Konrad Fiedlers Kunsttheorie im Kontext, dir. S. Majetschak, München 1997; testo fondamentale è quello di M. Jay, Downcast Eyes. The Denigration of Vision in Twentieth-century French Thought, Berkeley 1993. Su un piano più propriamente storico-artistico si citano qui: C. Nordenfalk, The sense of touch in art, in The verbal and the visual. Essays in honor of William Sebastian Heckscher, dir. K.-L. Selig, New York 1990, pp. 109-120; i vari saggi di H. Körner, tra ccui ricordo: Paragone der Sinne: der Vergleich von Malerei und Skulptur im Zeitalter der Aufklärung, in « Mehr Licht »: Europa um 1770; die bildende Kunst der Aufklärung, cat. exp., Frankfurt am Main 1999-2000, dirr. H. Beck, Herbert, P.C. Bol, München 1999, pp. 365-378 e Die entäuschte und die getäuschte Hand: der Tastsinn im Paragone der Künste, in Der stumme Diskurs der Bilder. Reflexionsformen des Ästhetischen in der Kunst der Frühen Neuzeit, dir. von Rosen, Valeska, München 2003, pp. 221-241. Infine: Auge und Hand, edd. J. Bilstein, G. Reuter, Oberhausen 2011 e la rivista on-line Kunsttexte, il cui fascicolo tematico “Bild Wissen Technik” è dedicato a: Sehen, Entwerfen, Erkennen. Wahrnehmungsmodellen in der Kunst, Wissenschaft und Kultur, in cui cfr. partic. i saggi di A. Plackinger, Visus und tactus, Affekt und Wahrheit in Caravaggios 'Ungläubigem Thomas'. Überlegungen zum religiösen Sammlerbild im Rom des frühen 17. Jahrhunderts e di S. Marchal, Courbets Zweifel an der Verlässlichkeit des Sehsinns ( http://kunsttexte.de/ ).
[5]Discours aux chirurgiens(1938):«Le nom de votre profession, Messieurs, met ce faire en évidence, car Faire est le propre de la main. La vôtre, experte en coupes et en sutures, n’est pas moins habile et instruite à lire, de la pulpe de sa paume et de ses doigts, les textes tégumentaires, qui vous deviennent transparents; ou, retirée des cavités qu’elle a explorées, elle peut dessiner ce qu’elle a touché ou palpé dans son excursion ténébreuse » (P. Valéry, Oeuvres, éd. J. Hytier, 2 voll., Paris 1957-1960, I, pp. 907-933: 918).
[6]Cfr. A. Ducci, «Leur chair chante des Marseillaises». La main dans les écrits sur l'art en France, repères pour un parcours, in Die Hand – Elemente einer Medizin- und Kulturgeschichte, cit., pp. 239-264 (con bibliografia).
[7]M.J. Friedländer, Landscape, portrait, still-life: their origin and development, Oxford 1949; G. Dalli Regoli, Il gesto e la mano: convenzione e invenzione nel linguaggio figurativo fra Medioevo e Rinascimento, Firenze 2000; Manus Loquens: Medium der Geste – Gesten der Medien, a cura di M. Bickenbach, A. Klappert et alii, Köln 2003.
[8]A. Gormans, Argumente in eigener Sache. Die Hände des Künstlers, in Die Hand – Elemente einer Medizin- und Kulturgeschichte, cit., pp. 189-223; J. Bolloch, La main, catalogo della mostra, Parigi 2007, Paris 2007; E. Vignot-A. Sérullaz, La main dans l'art, Paris 2010; A. Paolucci, Monumenta II. Le mani nei capolavori d'arte, Pisa 2010.
[9]P. Barolsky, The artist's hand, inThe craft of art: originality and industry in the Italian Renaissance and baroque workshop, dir. A. Ladis, Athens (Ga.) et all. 1995, pp. 5-24; A. Rouveret, De l'artisan à l'artiste: quelques «topoi» des biographies antiques, in Les «Vies» d'artistes, dir. M. Waschek, Paris, Musée du Louvre, 1996, pp. 25-40; e naturalmente gli studi di Ph. Sohm, Style in the art theory of early modern Italy, Cambridge et all., 2001, e Id.,Maniera and the absent hand: avoiding the etymology of style, in “Res”, 36, 1999, p. 100-124.
[10] NB: Il contributo di L. Baridon verrà pubblicato in forma completa a settembre, sia on line che nel volume a stampa.
[11]Tra le iniziative più recenti: l’esposizione Impressionismus. Wie das Licht auf die Leinwand kam, cat. exp. (Köln, Wallraf-Richartz Museum, 2008), poi ripresa a Palazzo Strozzi come: Impressionismo: dipingere la luce. Le tecniche nascoste di Monet, Renoir e Van Gogh; il progetto Werkzeuge und Instrumente, Hamburg Warburg-Haus e Firenze-KHI, coordinato da Ph. Cordez e M. Krüger; il Gruppo di ricerca ‘The material life of things’, con i connessi Symposia (Objects Making History: New Approaches to Material Evidence in Medieval Studies, London, 9 luglio 2010; Hands On: Seven Perspectives on the Material Transformation of Art, 5 Novembre 2010); il Workshop Creatio - Konzepte des Schöpferischen in der Moderne, 25-26 Novembre 2010, Ludwig-Maximilians-Universität München; il Convegno Hiding Making - Showing Creation. Strategies in Artistic Practice from the 19th to the 21st Centuries, 7-8 Gennaio 2011, Teylers Museum, Haarlem, Rijksakademie, Amsterdam (dove si segnalano particolarmente: M. Krüger, Die disegno-Theorie im Zeitalter des Darwinismus; B. Wittmann, Die Kreativität des Kindes und "taktvolle" Kunsterziehung im frühen 20. Jahrhundert; M. Wagner, Studio Matters: Materials, Instruments and Artistic Processes); vedi anche l’esposizione collegata: Mythen van het atelier (Studio Myths), Teylers Museum, Haarlem. Importanti anche i contributi coordinati in Italia da Silvia Bordini, tra cui: L’ occhio, la mano e la macchina: pratiche artistiche dell'Ottocento, Roma 1999.
[12] Fondamentali i lavori di H. Bredekamp, tra cui cito soltanto l'ultimo: La "main pensante": l'image dans les sciences, in Penser l'image, ed. E. Alloa, Dijon 2010, pp. 177-209; si vedano poi le ricerche scaturite dal gruppo di lavoro ‘Eikones’ (partic. G. Boehm, Zwischen Auge und Hand: Bilder als Instrumente der Erkenntnis, in Id., Wie Bilder Sinn erzeugen: die Macht des Zeigens, Berlin, Berlin University Press, 2007, pp. 94-113, 271-272).
[13]Knowledge in the making. Drawing and writing as research techniques, Max-Planck-Institut für Wissenschaftsgeschichte – Berlin e Kunsthistorisches Institut – Florenz (http://knowledge-in-the-making.mpiwg-berlin.mpg.de/knowledgeInTheMaking/en/index.html), con pubblicazioni collegate.
[14]M. Schapiro M., Style, in Anthropology Today, ed. A.L. Kroeber, Chicago 1953, pp. 287-312; W. Sauerländer, From Stilus to Style: Reflections on the Fate of a Notion, in «Art History», VI, 3, 1983, pp. 253-270; R. Recht, Du style en général et du moyen age en particulier, in «Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte», XLVI/XLVII, 2, 1993-1994, pp. 577-593.
[15]Aesthetics and Techniques of Lines between Drawing and Writing, CIHA International Conference, KHI – Firenze, 30 giugno 2011-2 luglio 2011.
[16]Per quest’ambito si citano anche gli studi di Callen A., The body and difference: anatomy training at the École des Beaux-Arts in Paris in the later nineteenth century, in «Art History», 20, 1997, 23-60; Ead., A Touch of Colour: The aesthetics of Impressionist "facture" and paint application techniques, in «Zeitschrift für Kunsttechnologie und Konservierung», vol. 2, 2008, pp. 335-342.
[17]Vedi ad es. Écrire la peinture entre XVIIIe et XIXe siècles, Actes du colloque du Centre de Recherches Révolutionnaires et Romantiques, Université Blaise-Pascal (Clermont-Ferrand, 24, 25, 26 octobre 2001), dir. P. Auraix-Jonchière, Clermont-Ferrand 2003; Vedi anche Steiner R., Der Künstler als Arbeiter: Rodin, Rilke, Cézanne, in Nobilis arte manus, Festschrift zum 70. Geburtstag von Antje Middeldorf Kosegarten, dir. B. Klein, Dresden 2002, 465-477. Su questo tema si sono mossi anche i vari interventi della recente giornata di studi Dall’occhio alla penna: il taccuino dello storico dell’arte tra ‘800 e ‘900, Università degli Studi di Udine, a cura di D. Levi, Udine, 19-20 Aprile 2010.
[18] Ad es. con la mostra La città meravigliosa degli artisti straordinari, a cura di O Calabrese, Siena 1996 ( http://www.marcellojori.it/ ).