di Annamaria Ducci
ABSTRACT: In very few, if any, of the major art historians of the 20th century one can grab the connection between writing and drawing like in the French Henri Focillon. He practiced drawing all lifelong. One same thought underlies his practice of writing and drawing, which appear as the two sides of a poetic and conceptual unity. The hand is what keeps them together. The hand is for Focillon the fulcrum of the creative process, which has technique at its core. Technique is a form of intelligence: the thought expresses itself and takes a form through the manual tracing of a mark on a sheet, and so doing it becomes self-conscious. Words and graphic sketches are both the product of an intentional act of the hand on the page. Therefore Focillon shows very well the relation, in an art historian, between thought, word and graphic mark through a “speaking” hand.
«Je connus que l’art est à deux visages, que, d’un coté, il sourit à la beauté, à la jeunesse des hommes et des femmes, il lève la main dans l’arbre, il cueille le fruit; de l’autre, il est magie, il est nécromancie, il déchiffre sur les pierres, dans les remous de l’onde, sur les ailes des oiseaux, des signes écrits par des mains qu’on ne voit pas, cette grande écriture, cette géométrie discontinue et brisée qui hantent les sorciers rêveurs et les maîtres-mages, de Vinci à Novalis. Les beaux cristaux noirs, resplendissants et nocturnes, que nous tendent Mallarmé et Valéry, en condensent les chiffres étranges entre leurs arêtes bien taillées»[1]
Questi pensieri scaturiscono in Focillon durante una passeggiata per le vie di Parigi, contemplando un muro, il vecchio muro della Rue des Postes. In un meccanismo di associazione involontaria - di proustiana memoria - quel muro evoca in lui le macchie del «mago» Leonardo (il «pittore-filosofo» di Valéry)[2], quel potere visionario che sa cogliere e trasformare i segni, le strane cifre che sono intorno a noi. Per Focillon vi è un’arte bella e immediata, per così dire, propria della giovinezza, che sgorga e si plasma docilmente sulla natura. E poi vi è un’arte magica, negromantica, che “legge” nel grande libro della natura, come voleva Alano di Lille; un’arte dallo sguardo penetrante, profondo, che va oltre l’apparenza, un’arte propria della vecchiaia. La prima è un’arte naturalistica e discorsiva; la seconda è un geroglifico ideale, in cui segno e immagine si saldano in un’unica forma; in questo mondo la scrittura – come parola, come grafia - si fa arte essa stessa.
La frequentazione assidua dell’arte orientale sollecita sicuramente in Focillon gli interrogativi sul segno, sull’immagine e sulla forma. In Vie des formes la calligrafia cinese è elogiata nelle primissime pagine, come una forma di inedita semantica[3]: la calligrafia, pur denotando, è una forma libera, perché non comunica, ma invece suggerisce[4]: «Suggerire – dice il pensatore orientale – ecco il segreto dell’infinito»[5]. Focillon appartiene ancora a quella tradizione critica incline ad indagare il potenziale creativo della relazione tra i due linguaggi – quello visivo e quello linguistico - che aveva avuto origine almeno con le correspondances baudelairiane, e che si era affermata in seguito, con le poetiche simboliste[6]. Il segno lasciato sul carnet dalla mano è una spia nitida della personalità, che si può esprimere con le parole e con le immagini. Per questo disegnano Gautier, Baudelaire, poi Mallarmé e Apollinaire. Così i fratelli Goncourt, letterati raffinati e critici, si cimentano nella pittura e nell’incisione[7]. Paul Valéry distilla concettualmente questa relazione tra segno e senso ponendola alla base del poiein, e la sperimenta su di sé, tanto che i suoi carnets costituiscono una sterminata opera polisemica[8]. Alla base di questo fenomeno c’è naturalmente la convinzione che l’attività disegnativa, l’espressione grafica condotta dalla mano, sia una vera e propria forma di “estensione della mente”: non solo il riflesso fisico dell’attività intelligente, ma una forma di intelligenza, di esplorazione, che proprio nel movimento della mano alla scoperta della forma si attua in tutta la sua completezza di teoria e pratica conoscitiva. Grande lettore di Viollet-le-Duc, a Focillon non dovette sfuggire la definizione pregnante con cui l’architetto sublimava proprio nel disegno attività percettiva e riflessione critica: «Il disegno insegnato come si deve è il miglior modo di sviluppare l’intelligenza e di formare il giudizio, perché disegnando si impara a vedere, e vedere è sapere. Saper disegnare, è quasi una virtù civile» (Histoire d’un dessinateur, 1879)[9].
Louis Grodecki affermava che l’apprezzamento della produzione letteraria, e soprattutto di quella grafica, erano essenziali per la piena comprensione del pensiero di Focillon, in quanto «senza questa sua attività artistica la sua opera intellettuale non sarebbe stata la stessa»[10]. I legami con il mondo artistico ma anche letterario e culturale in senso ampio, originati nel periodo della formazione, e poi costantemente mantenuti e coltivati nel corso degli anni, fanno di Focillon un intellettuale a tutto tondo, la cui mente si apre con curiosità verso le molte forme del sapere e dell’arte, principalmente del proprio Paese. Basta scorrere la bibliografia ragionata compilata da Louis Grodecki e Jean Prinet per rendersi conto come sin da giovane Focillon si confrontasse, ora come semplice amateur, poi sempre più come critico avvertito, con espressioni artistiche diverse dalle arti plastiche: la letteratura, il teatro, la musica.
Forse l’apprezzamento più lucido della prosa di Focillon si deve all’allievo Jean Bony, che così la descriveva:
«La sua eloquenza era indimenticabile e singolarmente personale. Essa controllava, secondo le necessità, ogni tono possibile; era vivace e precisa eppure ricca e vigorosa e si restava affascinati dalla versatilità e dalla ricchezza di associazione delle sue idee. Tutto ciò era sottolineato dalla autorità del suo gestire che sembrava completare e punteggiare i suoi periodi [...] Il dono della parola, sulla quale egli giocava come un grande virtuoso, e la sua prodigiosa ricchezza di vocabolario erano tutt'altro che puri e semplici ornamenti; erano un fattore integrale del suo processo intellettivo e durante le sue lezioni si aveva il privilegio di scorgere, attraverso questa superficie brillante, la formazione autentica del suo pensiero. [...] le sue parole erano, a un tempo, lo strumento della sua indagine e lo specchio del suo pensiero»[11].
Nelle parole di colui che lo conobbe da vicino emergono alcuni elementi importanti. La vis oratoria del professore non era solo fine a sé stessa, non era pura retorica “esornativa”; nella ricerca del juste mot Focillon trovava il canale di aggancio con il proprio pensiero, che nella singola parola – unità cellulare del suo discorso – si fa immagine sensibile. Tale estrinsecazione del pensiero era poi sostenuta – lo ricorda non a caso Bony – da una forma di actio, da un “gestire” che era ulteriore forma di visualizzazione del pensiero, stavolta affidata al corpo.
L’iconicità del linguaggio focilloniano si spiega con il bisogno di faire corps con le opere d’arte, di aderire quanto più possibile alla loro sostanza. L’écriture-artiste era nata nell’ultimo quarto dell’Ottocento, per designare una scrittura che si plasmasse alla materia dell’arte, che della realtà viva dell’atelier cercasse di adottare tutti gli strumenti comunicativi, primo fra tutti il lessico tecnico[12]. In particolare Edmond de Goncourt rivendicava la necessità di inventare una prosa libera e visiva « come uno schizzo d’artista»[13]. Una nuova sensibilità visiva che veniva riconosciuta subito come una rivoluzione nella critica d’arte francese, ed a cui si riferiranno le generazioni future[14]. La prosa di Focillon è erede naturale di questa tradizione che rimontava ai Salons di Diderot e di Baudelaire[15], ed a cui appartenne a pieno titolo anche Gustave Geffroy, maestro e mentore dello storico dell’arte[16]. Ma Focillon si muove su un crinale sottile, quello che separa i due secoli. La sua analisi visiva è più rigorosa, e denuncia la sua piena adesione ad purovisibilismo novecentesco che nasceva già con le Théories di Maurice Denis; pur in una straordinaria capacità di scegliere il termine evocativo, Focillon si concentra meno sulla bellezza della scrittura che sulla sua capacità di adesione al fatto pittorico. La sua scrittura rimane infatti spesso come sospesa tra lettura aderente alla forma delle opere e recupero della linea "poetica" dello scrivere d'arte. In tal modo in alcuni momenti l’autore raggiunge una sintesi mirabile tra le due grandi tendenze dello scrivere d’arte, la descrizione letteraria e l’analisi scientifica.
Focillon fa ampio ricorso al meccanismo dell’analogia, che come si sa attiva il tropo dell’equivalenza, ricorrente da sempre nella prosa degli storici dell’arte: «la spinta all’analogia deriva dalla coscienza della ‘metaforicità’ dell’opera d’arte, del suo potere di suggerire di più di quanto apparentemente esprima»[17]. Le figure retoriche basate sull’equivalenza sono in Focillon la spia del concetto di relazione, che a mio avviso sta alla base della teoria delle forme del francese: ogni elemento non sussiste di per sé stesso, ma solo considerato nel suo rapporto con gli altri che vanno a comporre un “quadro”, che si tratti di un’opera d’arte, di un componimento musicale o letterario, persino di un’idea. Ma l’analogia indica anche l’urgenza – da parte di Focillon - di operare una trasformazione formale, di intervenire attivamente nella sostanza dell’opera d’arte di cui è spettatore, vivificandola attraverso il proprio linguaggio verbale. La retorica analogica è cioè il tentativo più raffinato del linguaggio, teso a decriptare l’essenza di un’immagine, espediente che accomuna Focillon alla maggior parte degli storici dell’arte che scrivono tra Otto e Novecento, in una fase in cui – come si è detto - nella storia dell’arte la suggestione sembra prevalere sulla descrizione.
Anche in virtù di questa prosa iconica Focillon è sicuramente uno degli storici dell’arte del Novecento in cui meglio si coglie il nesso tra scrittura e disegno. Un medesimo pensiero sembra infatti sostenerlo nell’arte di scrivere e in quella disegnativa. Le due attività sono come le due facce di una stessa unità poetica, ma anche concettuale. Ciò che le salda è la mano. La mano – lo si sa - è per Focillon il fulcro del processo creativo, che ha al suo cuore la tecnica, a sua volta una forma di intelligenza. Oltre l’immaginazione, superando cioè Baudelaire, per Focillon è nella mano la magia della creazione artistica; senza le mani, senza l’atto dell’artista, l’arte non ha destino, è condannata al silenzio della pura idea: «un art dont les mains seraient totalement bannies resplendirait d'inhumanité (...) L'art se fait avec les mains»[18]. È nell’atto della mano che traccia un segno scuro sul foglio che il pensiero si estrinseca, prende forma, e così facendo, acquista consapevolezza. Si tratti di parole o di disegni, una stessa corrente guida la mano nel suo tracciato che va compiendosi, nel tempo, sulla pagina. Il disegno è quindi per Focillon una vera e propria “forma visiva della conoscenza”, e la mano non è soltanto il mezzo che esplicita un ragionamento, ma è senso e gesto che fondano il ragionamento stesso[19]. Per questo motivo Focillon è un caso particolarmente adatto ad esplorare la relazione che lega, nello storico dell’arte, il pensiero, la parola, e il segno grafico.
Figlio di Victor, fine incisore di traduzione e animatore di uno dei più attivi circoli di artisti e critici nella Parigi di fine dell’Ottocento[20], Henri avrebbe voluto seguire le orme del padre, ed in effetti l’attività grafica ne accompagnò tutta la vita, come operazione necessaria, coincidente con la riflessione e con la scrittura. In una lettera alla madre, Focillon si dice deluso dalle annoianti sedute della Commission des Lettres et des Arts alla Società delle Nazioni, dove era stato eletto come rappresentante della Francia assieme a Paul Valéry, e confessa di trovar conforto proprio nel disegnare: «Je passe le meilleur temps des séances à dessiner et à faire des vers. J’échange avec mon voisin Valéry, dessins et poemes»[21]: forse è anche in questa reiterata prossimità che nasceranno nei due francesi le analoghe riflessioni sulla mano come strumento nobile dell’intelligenza e della creazione artistica[22].
I disegni di mano di Focillon, sin qui censiti, superano il centinaio, e sono divisi tra gli Archivi Focillon di Parigi[23] e il Gabinetto delle Stampe della Biblioteca dell’Accademia di Romania a Bucarest[24], oltre ad alcuni più circoscritti fondi privati[25]. Tutte le tecniche grafiche sono sperimentate: inchiostro e penna, sanguigna, pastello, carboncino, che in alcuni casi raggiunge la densità della maniera nera, giocando sul nitore delle porzioni di carta risparmiate, che vengono così illuminate all’interno di composizioni sature d’inchiostri quasi terrosi (figg. 1-2); e poi il lavis, che permette di far risaltare ombre e modellati creando sovrapposizioni profonde, e che Focillon mutua dai maestri olandesi e giapponesi tanto amati. Focillon predilige tratti veloci, vaporosi, aerei, talvolta resi liquidi dall’apporto del pigmento smorzato dell’acqua. Per Focillon, schizzare disegni significa in primo luogo fissare le immagini dei luoghi visitati e vissuti (non è raro trovarli schizzati in margine a lettere personali). Ma, più che assolvere ad una immediata funzione descrittiva o analitico-conoscitiva, anche questi disegni appaiono come riflessi di uno stato d’animo in cui la componente immaginativa è fortemente presente. Ogni luogo è così trascritto in una forma altamente trasfigurata, che nondimeno riesce a comunicare il senso profondo che l’autore vi ha colto[26]. Prevalente però è il disegno d’invenzione vero e proprio, schizzo, croquis, o disegno finito che sia; una produzione creativa che accomuna il francese a molti studiosi d’arte del primo Novecento: per fare solo alcuni nomi esemplari, Emile Mâle, Johann Huizinga, Roberto Longhi, ma anche Meyer Schapiro, André Chastel… I soggetti più frequentati da Focillon sono le vedute immaginarie: distese montane, marine (figg. 3-6).
In alcuni disegni si riflette la temperie culturale francese, attenta alla relazione di parola e immagine, di letteratura, poesia e arti figurative, di cui sopra si è detto. Prendiamo due casi emblematici. Un lavis illustra una grande sala di cinematografo in cui una folla di spettatori fissa lo schermo, su cui compare la frase « Dessins par un maître inconnu » (fig. 7), titolo di apertura di uno svolgimento filmico destinato a restare ignoto. Il riferimento – oltre al proprio personale corpus grafico - è chiaro: la locuzione riecheggia infatti un poema dei Fiori del male, “Une martyre. Dessin d’un maitre inconnu”, che fu peraltro pubblicato a parte nel 1898 in un’edizione prestigiosa, corredata da 26 disegni di mano di Auguste Rodin[27], artista prediletto dallo storico dell’arte. Non è un caso che Focillon scegliesse proprio quel titolo: il poema di Baudelaire illustrava infatti al meglio il tema delle correspondances, ed il disegno di Focillon appare così il suggello grafico delle sue riflessioni sul rapporto tra i due linguaggi svolte in Vita delle forme.
Un’operazione mentale simile avviene in un altro disegno a carboncino, siglato dalla frase Un coup des dés jamais n’abolit le hasard (fig. 8)[28], evidente trasposizione del notissimo, rivoluzionario componimento di Stéphane Mallarmé. Vero poema sperimentatore, Un coup de dés jamais n'abolira le hasard, pubblicato per la prima volta nel 1897[29], segnò tutta una generazione di artisti (a partire da Paul Valéry), e dovette colpire profondamente anche l’immaginazione del giovane Focillon. Mallarmé fu infatti tra i primi a sperimentare i giochi dell’interazione tra significante e significato, tra sonorità della parola e simbolo grafico, risolvendoli in un deciso affrancamento della forma dal significato: «Le parole possono e devono bastare a se stesse. Hanno la loro potenza personale, la loro forza, la loro individualità, la loro esistenza propria. Hanno abbastanza forza per resistere all’aggressione delle idee». Vero esperimento poetico-tipografico, giocato sulla varietà dei caratteri alternati in modo ricorrente sulla pagina bianca, sulla non linearità del verso, ma soprattutto sullo straordinario potere del ritmo, godibile sia nella lettura ad alta voce, che nella percezione visiva del bianco/nero[30]. Il ruolo decisivo assegnato al bianco della pagina - che Valéry paragonò ad un cielo stellato – rivendicava all’estetica il valore del vuoto, dell’intervallo, dell’accidente, categorie che, ancora una volta, hanno un peso preponderante in Vita delle forme.
Il disegno è soprattutto per Focillon un modo di penetrare in quell’universo dell’arte che per l’autore conserverà sempre un grado di affascinante mistero. Sul piano del linguaggio, Baudelaire inaugurava quel parler peinture che - secondo Ezio Raimondi - ha al suo cuore il meccanismo della “riflessione”: «vedere un quadro per Baudelaire è allo stesso tempo un atto di ricezione e di pensiero […] Più dunque il critico usa se stesso come un esperimento di ‘riflessione’ e più egli risale ai problemi generativi di un pittore, alla storicità delle sue indagini formali, ai valori della sua cultura, restando sempre nel cuore della materia pittorica, nella freschezza docile e reattiva delle sue sensazioni»[31]. In Vita delle forme Focillon ci parla a lungo del suo «metodo genealogico», della sua esplorazione à rebours delle opere d’arte, partendo proprio dai primissimi schizzi. Questo meccanismo di immedesimazione con l’artista passa anche attraverso il gesto della mano, il disegno, inteso come necessaria prova di emulazione del procedimento creativo, nell'esigenza di ricostruire il processo di creazione, ripercorrendone idealmente ma anche materialmente le tappe di realizzazione, dal dessein al dessin. Infatti, in quanto tecnica caratterizzata da un continuum dei segni grafici, il disegno riesce a palesare il gradiente temporale dell'opera, e dunque si presta straordinariamente bene ad una ricerca sul “farsi” dell’opera d’arte.
Frequenti sono infatti i disegni à la manière de, veri e propri scherzi, rifacimenti di dipinti di maestri moderni e contemporanei, che sembrano ispirare Focillon nello stile ma anche nei temi. Proprio perché basato sul meccanismo dello sdoppiamento – i disegni sono siglati o firmati con il nome dell’artista a cui Focillon si ispira - questo gruppo consistente della sua produzione grafica rivela come nell’esercizio della copia Focillon trovasse l’occasione di un rispecchiamento critico: in ciascuno di quei maestri, cioè, egli individua una parte di sé, una corrispondenza parziale che viene prontamente messa in gioco e adattata al proprio sentire. Così il nome di Matisse è associato ad un nudo femminile, quello di Cézanne ad una natura morta, mentre il nome proprio Vincent “firma” un paesaggio con cipressi. Tra i molti casi riporto qui quello di Maurice de Vlaminck, i paesaggi acquarellati della serie La Haute-Folie (ed. 1934) (figg. 9-10), ma molti altri sono i pittori contemporanei fonte d’ispirazione o di esercitazione ludica: Seurat, Signac, Roualt, Vlaminck, Gauguin, Dufy… ed è molto probabile che queste prove grafiche, vere e propri esercizi d’immedesimazione, risalgano agli anni di preparazione della Peinture aux XIXe et XXe siècles (1927 e 1928).
Sappiamo quale fortuna la pittura olandese abbia avuto in Francia, grazie alle letture di Fromentin e di Taine. Una vera e propria fascinazione per i paesaggi di luce, che trapela, per esempio, anche in alcuni disegni e pastelli di Emile Mâle. Focillon si abbevera a questa tradizione critica: Rembrandt è una figura tutelare, con cui lo storico dell’arte intrattiene un dialogo intensissimo. In particolare, nell’opera del pittore olandese Focillon vede incarnarsi il paradigma di una linea critica tutta francese, che intendeva la pittura come assidua manipolazione, come un vero e proprio lavoro. Rembrandt è così – assieme ad Hokusai - l’artista emblematico dello Eloge de la main (1939)[32]. L’ammirazione di Focillon trapela bene anche da alcuni disegni. Alcune prove si limitano ad una suggestione: un disegno ad inchiostro e matita, noto come L’atelier dell’incisore (fig. 11)descrive un interno dal sapore nordico, piuttosto cupo, dal soffitto basso, rischiarato da una grande finestra, sotto a cui si trovano un tavolo lungo da lavoro con fogli sparsi, uno sgabello basso; sull’altro lato della stanza, un modesto letto incassato nella parete. L’altro disegno (fig. 12), di cui non si conosce il titolo, descrive invece un angolo di uno studio: un tavolo con dei libri, o un album, su cui è posato un mappamondo, forse una carta geografica; sullo sfondo, ancora una carta geografica, e una libreria bassa, colma di volumi, su cui è poggiato il modellino di un veliero. L’ispirazione olandese è palese, non solo per il tema, ma anche per lo stile grafico, fatto di tratti secchi, diagonalmente paralleli, associati alle sbavature acquose dei neri intensi (e porto a confronto il noto disegno di Rembrandt Lo studio dell’artista con una modella, ca. 1654, fig. 13). Si noterà che il secondo disegno è databile al 1936, l’anno della pubblicazione della monografia sull’olandese[33]. Un paesaggio (fig. 14) tra i più belli dello storico dell’arte, di cui si ignorano titolo e data, mi sembra invece trovi una corrispondenza strettissima con la meravigliosa Veduta di Rhenen (fig. 15): resta da capire se Focillon intendesse consapevolmente emulare quel modello, o se invece quel lavis non sia scaturito dalla sua mano attraverso una “memoria involontaria”.
Poeta-disegnatore per eccellenza, Victor Hugo[34] segnò decisamente l’immaginazione di Focillon, aprendo la via, assieme a Piranesi, alla ricerca che trasversalmente ritornerà in tutta la sua opera, quella sui visionari. Bellissimo il testo giovanile dedicato ai Disegni diVictor Hugo, del 1914[35], dalla prosa suggestiva, virtuosa, ridondante di specifiche tecniche e aggettivazioni, dall’accento quasi onirico, che si plasma volutamente sullo stile e sul timbro delle prove grafiche del vate. «Grande poeta della forma», lo definisce Focillon, confessando di aver indagato quei disegni – già ben studiati da Burty e Bertaux – per «preoccupazioni personali di metodo di cui ho cercato di trar profitto con misura». E quelle preoccupazioni sono certamente relative al processo della creazione, a come questo si attui nel passaggio dall’immaginazione – e viepiù quella debordante e irrealistica del visionario - alla resa concreta, attraverso il momento in cui entra in gioco la mano, come agente della tecnica.Questo accento onirico affascina lo storico dell'arte, al punto di determinare lo stile scrittorio di quel saggio, ma si riflette, come era ovvio, anche in alcuni suoi disegni. Focillon si apparenta al poeta-vate anche per l’uso autoreferenziale e autocelebrativo della firma, chiara allusione all’io, residuato della nozione di “genio”; riferimento biografico declinato ora in monogramma decorativo, ora in firma per esteso a riempire la pagina in una veduta aerea su un foglio lionese del 1915 (fig. 16)[36], ove il nome disteso in alto ha la leggerezza dell’aria e delle nubi con cui si confonde, e sovrasta il paesaggio come a suggerire la personalità di quella visione: innegabile l’èco del monogramma di Hugo nel disegno intitolato Marine Terrace, firmato e datato “21 mai 1855”, realizzato durante l’esilio sull’isola di Jersey (fig. 17)[37].
A certe prove di Hugo si ispirano certamente anche alcune prove grafiche più visionarie ed al contempo cerebrali di Focillon, la serie delleTorri di Babele che Focillon disegna ed acquerella a partire dal 1937, disegni acquerellati ed un dipinto ad olio, conservati ancora a Parigi negli Archivi personali dello storico dell’arte (figg. 18-20). Dal tratto leggero e quasi aereo, queste prove non tacciono, anzi palesano il modello ispiratore dei grandi visionari, a partire da Bruegel.
Questo "Colosseo ribaltato", come Focillon chiama la torre biblica, si lega anche all’immagine di antichità perduta delle tavole di Piranesi, disseminate di edifici circolari e spiraliformi, posti al centro di paesaggi in rovina. Peraltro Hugo aveva associato il “cervello nero di Piranesi” proprio con l’edificio biblico, alimentando l’interpretazione romantica e visionaria dell’autore delle Carceri. In alcuni acquarelli hugoliani sembra peraltro prender forma questa immagine, sotto forma di tempio ciclopico, di edificio cupolato, torre, cattedrale, isolati in paesaggi desolati (fig. 21)[38]. Sin dagli anni Dieci del Novecento, l'opera grafica di Hugo e quella di Piranesi costituiscono un tutt’uno nella riflessione di Focillon, e primaria fonte di riflessione e ispirazione. Nel famoso capitolo intitolato Ceci tuera cela di Notre-Dame de Paris (1830) il libro a stampa, la grande rivoluzione di Gutenberg, è definito espressamente come «una seconda torre di Babele del genere umano», come tempio del sapere in perpetua costruzione, «rifugio promesso all'intelligenza contro un nuovo diluvio, contro un'invasione di barbari». Hugo salda il tema dell'architettura a quello del sapere, dando vita alla metafora dell'architettura medioevale come summa teologica, metafora che sarà ben presto adottata da Emile Mâle. Anche per Focillon la costruzione babelica diventa immagine del sapere universale, impronta del cammino umano nella sua techné, ma anche miraggio di un mondo a venire che avrebbe ripudiato la distinzione delle razze per unirsi nella concordia della cultura e dell’arte: una lettura utopistica dell’architettura[39] che ben si accordava al credo socialista – di retaggio fourieriano – dello storico dell’arte. Anche attraverso gli occhi e i disegni di Hugo, Focillon vedeva nella costruzione babelica l’immagine utopistica di un sapere condiviso, miraggio di un mondo a venire che ripudiasse la distinzione tra razze per unirsi nella concordia della cultura. Non è casuale che il pensiero di Focillon si concentrasse su questo edificio alle soglie della seconda guerra mondiale, lui che si era battuto come membro della Società delle Nazioni in favore della cooperazione intellettuale e per la costruzione di un’ecumenica société des esprits. Nel tratteggiare a disegno quelle spirali di pietra lanciate verso il cielo, la mano di Focillon rendeva viva un’idea tante volte espressa con le parole[40].
IMMAGINI
1. H. Focillon, La veuve aux velours, disegno a matita, Bucarest, Accademia di Romania
2. H. Focillon, Vue de Cluj en Roumanie, disegno a matita, Bucarest, Accademia di Romania
3. H. Focillon, Sans titre, disegno a matita, Parigi, Archives Focillon
4. H. Focillon, Paysage inspiré par des souvenirs, disegno a matita, Bucarest, Accademia di Romania
5. H. Focillon, L’Oder, lavis, Parigi, Archivi Focillon
6. H. Focillon, Paysage aux rochers, disegno a matita, Bucarest, Accademia di Romania
7. H. Focillon, Dessins par un maître inconnu, disegno acquarellato, Parigi, Archivi Focillon
8. H. Focillon, Un coup des dés jamais n’abolit le hasard, disegno a matita, Bucarest, Accademia di Romania
9. M. de Vlaminck, tavola da La Haute-Folie, ed. Paris 1934
10. H. Focillon, Pastiche satyrique, lavis, Bucarest, Accademia di Romania
11. H. Focillon, L’atelier du graveur, disegno, Parigi, Archivi Focillon
12. H. Focillon, Sans titre, disegno a penna, Parigi, Archivi Focillon
13. Rembrandt, Lo studio dell’artista con una modella, disegno a penna
14. H. Focillon, Paysage, lavis, Parigi, Archivi Focillon
15. Rembrandt, Veduta di Rhenen, disegno a penna
16. H. Focillon, firma e disegno su una lettera
17. Victor Hugo, Marine Terrace, acquarello, firmato e datato 1855
18-20. H. Focillon, Tour de Babel, disegni, varie versioni, Parigi, Archivi Focillon
21. V. Hugo, tavola per La Légende des siècles, acquarello, firmato e datato 1860
[1]H. Focillon, Le mont dans la ville, Paris 1928, p. 37s. Si tratta di uno dei testi letterari di Focillon, dedicato al quartiere della Montagne Sainte-Généviève di Parigi.
[2]Su Leonardo da Vinci come magicien ai primi del Novecento francese vedi S. Migliore, Da miroir profond et sombre a esprit symbolique. Letture leonardiane in Francia tra Baudelaire e Valéry, in Léonard de Vinci entre France et Italie: miroir profond et sombre, a cura di S. Fabrizio-Costa, J.-P. Le Goff, Caen 1999, pp. 225-236; Valéry et Léonard: le drame d’une rencontre. Genèse de l’ Introduction à la méthode de Léonard de Vinci, ed. Ch. Vogel, Paris 2007; Leonardo da Vinci & France, catalogo della mostra, Château du Clos Lucé-Amboise, 2009-2011, a cura di C. Pedretti, Poggio a Caiano, 2010.
[3] H. Focillon, Vita delle forme, Prefazione di E. Castelnuovo, Torino 1987p. 6.
[4]D. Gamboni, De Bernheim à Focillon: la notion de suggestion entre médecine, esthétique, critique et histoire de l’art, in Histoire de l'histoire de l'art en France au XIXe siècle, Actes du colloque, Parigi 2004, a cura di R. Recht et all., Paris 2008, pp. 311-322.
[5]H. Focillon, Albert Dürer, (1928), in Maîtres de l’estampe. Peintres-graveurs, Paris 1930 (ed. it.: H. Focillon, I grandi maestri dell’incisione, Dürer, Elsheimer, Rembrandt, Castiglione Genovese, Bologna 1983). Anche per Walter Benjamin l’arte calligrafica cinese è l’espressione di un pensiero in cui parola e segno grafico convivono, ma in un “equilibrio instabile”; hsie-yi, “pittura d’idea”, è il termine con cui la tradizione artistica cinese designa la calligrafia, che “lungi dal costituire un giusto mezzo tra letteratura e pittura, abbraccia intimamente le loro sostanze costitutive, vale a dire il pensiero e l’immagine” (W. Benjamin, Peintures chinoises à la Bibliothèque nationale, (1938), ed. cons. W. Benjamin, Écrits français, a cura di J.-M. Monnoyer, Paris 1991, pp. 334-338; ed. it. : W. Benjamin, Dipinti cinesi alla Bibliothèque Nationale, in Id., Scritti 1938-1940, acura di R. Tiedemann, Torino 2006, pp. 5-8).
[6] Si vedano ad es. gli scritti di Charles Morice (cfr. G. Michaud, La doctrine symboliste. Documents, Paris 1947).
[7]Oltre a F. Fosca, De Diderot à Valéry. Les ecrivains et les arts visuels, Paris 1960, sono molti gli studi dedicati a queste relazioni ; cito qui soltanto Écriture et peinture au XXe siècle, a cura di M. Khémiri, Paris et all. 2004; L'oeil écrit: études sur des rapports entre texte et image, 1800-1940, volume en l'honneur de Barbara Wright, a cura di D. Conroy, J. Gratton, Genève 2005.
[8]Cfr. A. Gérald, Quelques linéaments du Traité de la main ou de l'esprit et de la main, in Paul Valéry contemporain, Actes du colloque, Vincennes-Strasbourg 1971, Paris 1974, I, pp. 177-191 ; Ryan P., Paul Valéry et le dessin, Frankfurt am Main-Berlin-Bern 2007 ; Karin Krauthausen, Zwischen Aufzeichnung und Konfiguration der Beginn von Paul Valérys "Cahiers", in Notieren, Skizzieren. Schreiben und Zeichnen als Verfahren des Entwurfs, dirr. K. Krauthausen, O.W. Nasim, Zürich 2010, pp. 89-118.
[9]Viollet-le-Duc E.-I., Histoire d’un dessinateur. Comment on apprend à dessiner, Paris 1879, n.e. Paris 1978, su cui vedi L. Baridon, "Voir, c'est savoir": pratiques de la description chez Viollet-le-Duc, in Le texte de l'œuvre d'art: la description, Actes du colloque, Colmar 1997, dir. R. Recht, Strasbourg 1998, pp. 79-87, e più recentemente W. Kemp, Lebenslinien. Die Geschichte zweier Zeichner. John Ruskin und Eugène-Emmanuel Viollet-le-Duc, in Randgänge der Zeichnung, a cura di W. Busch, O. Jehle, C. Meister, München et all., 2007, pp. 363-373.
[10]L. Grodecki, Introduction, in L. Grodecki, J. Prinet, Bibliographie Henri Focillon, New Haven-London 1963, pp. 9-16: 14.
[11] J. Bony, Henri Focillon (1881-1943), come Introduzione a H. Focillon, L'arte dell'Occidente, Torino 1987 (II ed.), pp. XXXIII-XLV, p. XXXVs. Simili apprezzamenti anche in A.R. Visson, « Gazette des Beaux-Arts», 6° s., XXII, 1942, p. 187, ed oggi in R. Recht, Le croire et le voir. L’art des cathédrales (XIIe-XVe siècle), Paris 1999, p. 74 : in Focillon «l’analyse du style est un fait de langage. Elle prend corps dans la formulation verbale d’une réalité phénoménologique complexe. Le langage chargé de cette formulation doit être suggestif».
[12]Ph. Hamon, Imageries: littérature et image au XIXe siècle, Paris 2001, p. 124ss.
[13]« Je voudrais trouver des touches de phrase semblables à des touches de peintre dans une esquisse: des effleurements et des caresses et, pour ainsi dire, des glacis de la chose écrite, qui échapperaient à la lourde, massive, bêtasse syntaxe des corrects grammairiens» (Journal, 22 marzo 1882).
[14]Cfr. S. Basch, Du Cirque aux Barrières: la “géographie morale” d’Edmond de Goncourt, in Les Goncourt dans leur siècle. Un siècle de « Goncourt », a cura di J.-L. Cabanès, P.-J. Dufief, R. Kopp, J.-Y. Mollier, Villeneuve d’Ascq 2005, pp. 177-189.
[15]Ph. Junod, Le XIXe siècle vu par Henri Focillon, in Relire Focillon, (Conférences et Colloques du Louvre), a cura di M. Waschek, Paris 1998, p. 107.
[16] J. Vallery-Radot, Gustave Geffroy critique d’art, in Gustave Geffroy et l’art moderne, catalogo della mostra, Parigi 1957, Paris 1957, p. 13 ; R.-Th. Denommé, The Naturalism of Gustave Geffroy, Genève 1957 ; J. Paradise, Gustave Geffroy and the Criticism of Painting, New York 1982; per i rapporti tra Geffroy e Focillon vedi P. Plaud-Dilhuit, Henri Focillon, Gustave Geffroy et les "Musées d’Europe", in Focillon e l’Italia - Focillon et l’Italie, Atti del convegno, a cura di . In A. Ducci, A. Thomine, R. Varese, Ferrara 2004, Firenze 2007, pp. 199-238.
[17]V. Mengaldo, Tra due linguaggi: arti figurative e critica, Torino 2005, p. 40.
[18]Ed. cons. H. Focillon, Vie des formes, suivi de Éloge de la main, Paris 1996,pp. 112, 118.
[19] Si vedano i saggi di chi scrive:Familles de mains. Sources littéraires et iconographiques dans l'Éloge de la main, in Henri Focillon, Actes du colloque International, Parigi 2004, a cura di P. Wat, Paris 2007, pp. 63-70, e «Leur chair chante des Marseillaises». La main dans les écrits sur l'art en France, repères pour un parcours, in Die Hand – Elemente einer Medizin- und Kulturgeschichte, Atti del Simposio Internazionale, Greifswald 2007, dir. M. Gadebusch Bondio, Berlin 2010, pp. 239-264; piace qui ricordare anche il saggio di F. Bernabei, L’elogio della mano. Focillon e dintorni, in All’incrocio dei saperi: la mano, Atti del Convegno di Studi, Padova 29-30 settembre 2000, ed. Achille Olivieri, Padova 2004, 433-447.
[20] Victor Focillon, Dijon, 1849-1918et Henri Focillon, Dijon, 1881-1943, catalogo della mostra, Digione 1955.
[21]Lettera di data incerta (ma del 1925). Parigi, Archives Focillon, boite 6: 1925-3.
[22] Per le relazioni tra i due a proposito della mano si veda al mio «Leur chair chante des Marseillaises», cit.
[23]Cfr. C. Tissot, Archives Henri Focillon (1881-1943). Inventaire, Paris 1998, strumento imprescindibile per ogni ricerca sullo studioso.
[24] Per i quali una menzione in R. Ionesco, Hommage à Focillon, in «Revue roumaine d’histoire de l’art. Beaux-Arts», t. 6, 1969, p. 13-17. Ringrazio vivamente l’Accademia di Romania e Ioana Vlasiu per avermi concesso il permesso di pubblicare alcuni dei disegni.
[25] Tali prove grafiche sono raramente datate. Solo una minima parte è stata pubblicata nelle seguenti sedi: Victor Focillon, Dijon, 1849-1918et Henri Focillon, Dijon, 1881-1943, cit.;Cahiers pour un temps. Henri Focillon, Paris, Centre Georges Pompidou, 1986; Relire Focillon, cit.; La vie des formes. Henri Focillon et les arts, catalogo della mostra, Lione 2004, a cura di Ch. Briend, A. Thomine, Paris-Gand 2004, presentati in modo più articolato; infine, nel volumeHenri Focillon, Actes du colloque International, Parigi 2004, a cura di P. Wat, Paris 2007,vengono pubblicati due disegni sino a questo momento inediti del 1915, conservati in un fondo privato lionese (cfr. p. 143s., figg. 16 e 17); per un quadro d’insieme vi si legga il bel saggio di Ph. Dufieux, «Penser comme l’artiste, voilà la règle de notre recherche», Henri Focillon dessinateur, pp. 211-226.
[26] Sin dal primo viaggio in Italia tra il 1906 e il 1908(H. Focillon, Lettres d’Italie. Correspondance familiale 1906-1908, acura di L. Marignac, Paris 1999, su cui vedi il mio A. Ducci, Il viaggio in Italia di Henri Focillon, in "Studiolo. Revue de l'Académie de France à Rome", 2, 2003, pp. 167-191).
[27] I disegni furono realizzati tra il 1887 e il 1888 (cfr. Rodin e gli scrittori. Dante, Hugo, Balzac, Baudelaire, catalogo della mostra, Aosta 2005,Milano 2005, nr. 62, p. 157).
[28] Con l’aggiunta: «à la manière de Vlaminck».
[29] Comparso il 4 marzo 1897 su “Cosmopolis”. L’edizione come libro per Ambroise Vollard prevedeva illustrazioni di Odilon Redon.
[30]M. Murat, ‘Le Coup de dés’ de Mallarmé : un recommencement de la poésie, Paris 2005.
[31] E. Raimondi, Prefazione, in Ch. Baudelaire, Scritti sull’arte, Torino 1992, pp. VII-LIII: LI-LII.
[32]Su cui Ducci, Familles de mains, cit., e Ead., «Leur chair chante des Marseillaises», cit., pp. 262-264.
[33] H. Focillon, Rembrandt, Paris 1936.
[34]L'Œil de Victor Hugo, Actes du colloque, Parigi 2002, a cura di G. Rosa, N. Savy, Paris 2004 e il catalogo dell’esposizione BnF: Victor Hugo, l’homme océan, Parigi 2002, a cura di M.L. Prévost, Paris 2002.
[35]Originariamente H. Focillon, Les dessins de Victor Hugo, in «Bulletin de la Société des Amis de l’Université de Lyon», xxvii, mars-avril 1914, pp. 72-86 (poi in H. Focillon, Technique et sentiment. Etudes sur l’art moderne, Paris 1919)
[36]Cfr. Henri Focillon, 2007, cit., p. 144, fig. 17, e il commento in Dufieux, «Penser comme l’artiste, voilà la règle de notre recherche», cit., p. 223.
[37] Cfr. Victor Hugo, l’homme océan, cit., nr. 125, pp. 160-162.
[38]Cfr. ad es. La Légendedes siècles (partie encore inédite), in Victor Hugo, l’homme océan, cit., nr. 199, p. 238, firmato e datato 1860.
[39]Si veda al saggio di N. Levine, The book and the building: Hugo’s theory of architecture and Labrouste’s Bibliothèque Ste-Geneviève, in The Beaux-Arts and nineteenth century French architecture, a cura di R. Middleton, London 1984, pp. 139-173: 152.
[40]Cfr. D.H.A. Maksimiuk, L’engagement politique au sein de l’Institut de coopération intellectuelle, in La vie des formes. Henri Focillon et les arts,cit., pp. 283-291, con bibliografia; A. Ducci, Europe and the Artistic Heritage in the Interwar Period: The International Institute for Intellectual Cooperation at the League of Nations, in Europe before the European Community, 1917-1957: Ideas of Europe during the Forty Years' Crisis, Proceedings of the International Conference, University College of London-The Centre for European Studies, (11-12 décembre 2008), dirr. Matthew D’Auria, Mark Hetwitson, New York c.d.s. (2011).