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Home Indice e rubriche Chirurgia della creazione. Mano e arti visive La Mano dell’artista. Per Leonardo e Michelangelo, due note

La Mano dell’artista. Per Leonardo e Michelangelo, due note

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di Gigetta Dalli Regoli

 

ABSTRACT: Leonardo da Vinci analysed in detail the structure of the hand in his anatomic studies and in his paintings. Gesture and hand always have a crucial function in his compositions, through peculiar and unprecedented solutions, possibly favoured by the artist’s left-handedness. The hand is protagonist also in the work of Michelangelo, both in his formal inventions and writings. Michelangelo’s hand bears an aggressive attitude towards matter, in which act at the same time physical strength and the still uncertain profile of a mental image.

 

Leonardo, nell’ambito della prima attività fiorentina, è ospite nella casa di Andrea del Verrocchio quale discepolo (1465-1480), e partecipa ai numerosi lavori commissionati al maestro prestando la sua opera soprattutto come pittore; inoltre, come disegnatore, elabora studi per specifici temi e tipologie. In molti dei dipinti usciti dalla bottega, prevalentemente Madonne di paternità controversa eseguite da Andrea e da giovani collaboratori particolarmente dotati, la qualità risiede nelle modalità compositive e nella preziosità materica, ma l’esecuzione di dettagli marginali della figura umana, soprattutto delle mani, risulta fondata sull’uso di modellini di gesso o di terra, replicati con abilità ma in forma meccanica, di modo che è difficile cogliere distinzioni fra gli interventi.

Pur adeguandosi a queste forme di gestualità programmata, Leonardo si differenzia rispetto agli altri, poichè introduce nelle soluzioni giovanili che gli sono riconosciute sottili ma significative variazioni: caricando le tensioni e accentuando i passaggi dall’ombra alla luce, egli mostra già a questa data di riserbare una considerazione speciale alla “mano”. E non poteva che essere così, dal momento che l’uso prevalente della sinistra avrebbe dato un’impronta peculiare alla sua vita, inducendolo a scelte personalissime, come avviene per la scrittura. L’attenzione per la forma, per i movimenti e per la prensilità della mano, si manifesterà apertamente negli studi di anatomia, ma anche in dettagli emblematici dei dipinti, nel Cenacolo e soprattutto nella Dama dell’ermellino (1488 circa).

La mano dellaDama di Cracovia emerge dall’insieme delle due figure, e risucchia su di sé l’attenzione di chi guarda, riassumendo il senso di ogni componente: l’ energia contenuta nelle articolazioni contratte ( il polso della giovanetta, la zampa dell’ermellino), la prontezza con cui le due teste si volgono di scatto, gli occhi che guardano fisso qualcuno o qualcosa che non si può identificare, i nodi-vinci disseminati sull’abito. La mano dalle dita affusolate è insieme griglia e gabbia, non costringe ma contiene, e comunque domina.....

La mano, e soprattutto la “sua” mano, doveva essere per Leonardo una sorta di interprete dell’animo, rappresentativa anche di una peculiarità della sua persona – il mancinismo - dotata di una propria vitalità e quasi di un negromantico potere.

 

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Le analisi condotte su alcuni dipinti di Leonardo, e soprattutto presso il Museo del Louvre, hanno accertato che l’artista in più di un’occasione ha “modellato” la superficie pittorica (pur sottilissima) con le dita: probabilmente l’impronta digitale scompariva sotto la vernice lievemente ambrata, e solo le drastiche puliture, le svelature e le moderne tecniche di indagine hanno consentito di identificarne le tracce. Risulta comunque significativo il fatto che la mano di Leonardo sostituisca, a tratti, il pennello, e che come mezzo animato risulti più duttile ed efficace dello strumento. L’importanza di un intervento che obbligava l’artefice a impegnarsi fino a imbrattarsi le dita si percepisce ove si rammenti il confronto, teorico e dimostrativo, proposto nel Trattato della pittura fra il lavoro dello scultore («gran sudore composto di polvere e convertito in fango») che insozza l’abito e riempie di detriti lo studio, e quello del pittore, che dipinge indossando vesti di pregio «ed è l’abitazione sua piena di vaghe pitture, e pulita ed accompagnata spesse volte di musiche, o lettori di varie e belle opere...».

Nei disegni compare più volte la doppia visuale di uno stesso elemento, guardato da diverse angolazioni: vi si coglie l’ansia di colui che non si accontenta di una sola possibilità e tende a superare la visione dell’uomo comune, afferrando, con gli occhi e con le mani, scorcio e profilo, destra e sinistra, sopra e sotto, nonché il movimento.... L’artista, attraverso l’esecuzione rapida, a volte fulminea, del disegno, dove mano e punta tracciante sono una cosa sola, riesce a impadronirsi di ciò che lo attrae, a catturarne in simultanea diverse parvenze, in definitiva a sezionarla e ricomporla, ed è ciò che lo rende simile a un dio.

Ricordo la Testa femminile degli Uffizi, quasi certamente quella «ch’è divina» secondo il Vasari, splendido esempio di scorcio anomalo di cui altri artisti colsero immediatamente la novità, e che fa pensare alla Madonna «quasi ch’en profilo» citata nell’elenco degli anni 1480/82. Altre conferme vengono dalla duplicazione della testa di Sant’Anna in uno studio per il celebre gruppo, dai putti sgambettanti, da un disegno che contiene la doppia raffigurazione di un cavallo montato a pelo da un cavaliere nudo, e soprattutto dall’Adorazione dei Magi, gigantesco abbozzo sperimentale che sarebbe arduo immaginare rifinito secondo il gusto corrente ed esposto su un altare per la devozione di un pubblico indifferenziato: il folle sfarfallio delle mani che affiorano dall’ombra lancia infatti messaggi di difficile interpretazione, sgomento, stupore, saluto, attesa…Di fronte alla grande tavola - uno straordinario “testamento” che Leonardo è costretto a lasciare a Firenze allorché parte per Milano nel 1482 - non si può che accettare la sfida di una lettura aperta, e di un ideale colloquio con l’artista destinato a prolungarsi nel tempo e a risolversi in forme costantemente rinnovate.

 

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Nell’ampio arco dell’attività di Michelangelo, l’importanza “fabbrile” della mano è espressa sinteticamente, ma in forma folgorante, al centro della volta Sistina, laddove il dito del Dio creatore si avvicina a quello di Adamo – uno puntato in avanti, l’altro ricadente - e l’impulso dell’azione divina scorre come un flusso invisibile dall’uno all’altro, animando per il tramite dell’indice proteso il corpo ancora inerte. Nondimeno è dalle sculture che si evince il protagonismo della mano dell’artista nell’ambito del duro lavoro di sbozzatura, soprattutto da quei casi di volontaria sospensione dell’intaglio in alcuni settori, e dalla cosciente esposizione di un livello intermedio di elaborazione della figura. Il problema è assai complesso, e investe ampia parte dell’opera di Michelangelo, tanto più elevata quantitativamente rispetto al piccolo nucleo dei dipinti autografi di Leonardo.

L’alternativa “finito/non-finito”, indagata in forma approfondita dalla critica, si manifesta precocemente, ad esempio nei tondi Pitti e Taddei, opere sofisticate di committenza privata e destinate all’osservatore colto, ma Michelangelo ne dà anche conferma in testimonianze più impegnative, soprattutto in alcune parti delle Tombe Medicee, ormai da una posizione di indiscussa autorità. Sembra pertanto opportuno puntare l’attenzione su due dei giganteschi gisants dellaCappella Medici, il Crepuscolo e il Giorno, che nelle condizioni attuali sono esplicitamente “compiuti”, consegnati e messi in opera. In entrambi i casi, in una parte ritenuta meno significativa, il volto, l’intervento della mano e degli strumenti di lavoro risulta come sospeso, e lascia allo scoperto quello stato intermedio dell’intaglio che di consueto scompare sotto la levigatura. Ciò corrisponde, nei disegni di figura e di nudo che costituiscono buona parte del corpus grafico michelangiolesco, alla concentrazione su una parte sola dell’immagine, allorché l’artista interrompe bruscamente il tracciato in alcuni punti nevralgici, o modifica la trama dei segni, con accentuazioni e diradamenti che limitano drasticamente la compiutezza naturalistica della figura e la trasformano in una struttura tendente all’astrazione: con un corpo privato degli arti, o di uno di questi, o della testa, si esaltano in forma più incisiva lo slancio, la torsione e le contrazioni della muscolatura, ovvero il guizzo vitale o la tensione sofferta dell’uomo. Dal lavoro di progettazione dedicato alla Battaglia di Cascina, e dunque dai numerosi disegni che insieme alle copie sostituiscono l’originale perduto, si evince che nei primi anni del ‘500 Michelangelo assegnava alle membra una netta preminenza rispetto al volto.

Lasciando in vista diversi livelli di lavoro, è probabile che lo scultore intendesse esigere rispetto per tutto il percorso del suo intervento, degno di riconoscimento, e dunque “nobile”, fin dall’inizio, dalla individuazione e dal taglio del blocco nella cava e dalle prime percussioni sugli scalpelli più pesanti fino al reticolo delle incisioni condotte con i punteruoli e le gradine: evidentemente per Michelangelo risultava ingiusto e perfino doloroso nascondere tutto ciò sotto la rifinitura richiesta dalle convenzioni più diffuse, legate all’orientamento medio e alle aspettative dei committenti, alla destinazione dell’opera e alla esposizione in luogo pubblico. In effetti il completamento, la “rinettatura”, perfino una possibile lucidatura dei marmi possono far pensare a una realizzazione nata di getto e portata avanti senza scosse, una sorta di prodigio senza storia, che occulta e rinserra al suo interno le vicende e i tempi dell’esecuzione: lo sforzo, magari l’errore e l’aggiustamento, lo studio, i dubbi, infine l’ultima scelta e l’arresto del lavoro allorché il risultato è giudicato pienamente rispondente all’immagine mentale.

Difficile inoltre distinguere nella folta produzione dell’artista la linea di demarcazione fra il “non-finito” intenzionale e quello parzialmente motivato da circostanze esterne, ma è evidente che in questa tangenza si manifesta un cosciente e rivoluzionario passaggio dall’ambito della tecnica a quello dello stile: Michelangelo, che con la giovanile Madonna della scala aveva sperimentato le possibilità insite nella sofisticata graduazione del rilievo, esperisce anche in alcune opere a tutto tondo l’integrazione fra lo scavo del materiale e un modellato raffinatissimo in superficie (Pietà di S.Pietro, Madonna di Bruges); nondimeno con la maturità sembra prevalere un metodo che si affida agli effetti inediti di superfici diseguali, e che comporta un’interpretazione del soggetto non convenzionale, anzi fortemente innovativa: selezionando le parti e assegnando loro un ruolo distinto, lo scultore altera i rapporti fra le componenti dell’immagine, e dunque ne modifica il significato.

Nelle due Pietà del Duomo e dell’Accademia di Firenze (tralascio il problema dell’autografia, che non intacca la genuinità del progetto nel suo insieme) eseguite oltre cinquant’anni dopo il levigatissimo marmo Vaticano, e soprattutto nella Pietà Rondanini, Michelangelo non lascia allo scoperto solo la fatica, bensì dichiara orgogliosamente lo spessore semantico di componenti inscindibili, il travaglio mentale, il sostegno emotivo, l’azione violenta. Il logorio di un itinerario disseminato di incertezze e ripensamenti, e la traccia delle alternative che la mano lascia impresse nella pietra, si trasformano in una soluzione che non impone all’osservatore una lettura obbligata, bensì promuove stimoli, emozioni e nuove forme di coinvolgimento per chi si pone di fronte all’immagine e si misura con la proposta dello scultore.

 

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IMMAGINI

1. Verrocchio e collaboratori, dettagli di mani da: Arcangelo e Tobiolo, London, National.Gallery; Crocifissione e santi, già ad Argiano; Madonna col Bambino (Berlin,Gemäldegalerie; Washington, National Gallery of Art; London, National Gallery)

2. Leonardo, Studio di mani, Windsor Castle, Royal Library, 12558; Leonardo, dettagli di mani da: Annunciazione, Firenze, Uffizi; Madonna,  München, Alte Pinakothek; Madonna Dreyfus, Washington, National Gallery; Vergine delle rocce, Paris, Louvre

3. Leonardo, Dama dell’ermellino, Cracovia, Museo Czartoryski

4. Leonardo, Testa di giovane donna, Firenze, Uffizi, G.D.S., 428 E; Leonardo, Madonna della fruttiera, Paris, Louvre, Dpt. Arts Graphiques, R.F. 486

5. Leonardo, disegno con due immagini di uno stesso cavallo in movimento, Cambridge, Fitzwilliam Museum, PD 121-1961; Leonardo, Studio per la Sant’Anna con la Madonna e il Bambino,Venezia, Gallerie dell’Accademia, 230

6. Leonardo, Adorazione dei Magi, dett., Firenze, Uffizi

7. Michelangelo, Studi di nudo (London, British Museum 1897.5.2.116;Wien, Graphische Sammlung Albertina 118;Firenze, Casa Buonarroti 73 F r)

8. Michelangelo, Il Crepuscolo, il Giorno, dett., Firenze, S. Lorenzo, Cappella Medici

9. Michelangelo, Pietà, Roma, S. Pietro; Michelangelo, Madonna, Bruges, Notre Dame,

10. Michelangelo, Pietà di Palestrina, Firenze, Galleria dell’Accademia; Michelangelo, Pietà Rondanini, Milano, Museo del Castello

11. Michelangelo, Creazione di Adamo, dett., Roma, Cappella Sistina

 

Bibliografia:

NB: Si segnalano soprattutto testi e contributi di data recente contenenti ampi repertori bibliografici.

C. Pedretti, Il tema del profilo, o quasi, in I Leonardeschi a Milano: fortuna e collezionismo, Atti del Convegno internazionale, Milano 1990, a cura di M.T. Fiorio e P.C. Marani, Milano 1991, pp. 14-24

M. Hirst, J. Dunkerton, Making and Meaning. The young Michelangelo, catalogo della mostra, Londra 1994, London 1994

C. Pedretti, Introduzione a Leonardo da Vinci, Libro di pittura, ed. facsimile del Codice Urbinate lat.1270, Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di C. Pedretti, trascrizione critica di C. Vecce, Firenze 1995

D.A. Brown, Leonardo da Vinci. Origins of a Genius, New Haven-London 1998

A. Natali (a cura di), Lo sguardo degli angeli: Verrocchio, Leonardo e il Battesimo di Cristo, Milano 1998

Giovinezza di Michelangelo, catalogo della mostra, Firenze 1999-2000, a cura di K. Weil Garris Brandt, C. Acidini Luchinat, J. D.Draper, N. Penny, Firenze-Milano 1999

L’Adolescente dell’Ermitage e la Sacrestia Nuova di Michelangelo, catalogo della mostra, Firenze-San Pietroburgo 2000, a cura di S. Androsov, U. Baldini, Siena 2000

L. Berti,L’astro levatosi al tramonto. Michelangelo e l’ultimo momento di Rinascimento quattrocentesco a Firenze, in “Critica d’arte”, 8° serie, LXIII, 5, 2000, pp. 24-44

G. Dalli Regoli, Il gesto e la mano. Convenzione e invenzione nel linguaggio figurativo fra Medioevo e Rinascimento, Firenze 2000

D. Covi, Andrea del Verrocchio. Life and Work, Firenze 2005

La mente di Leonardo. Nel laboratorio del genio universale, catalogo della mostra, Firenze 2006-2007, a cura di P. Galluzzi, Firenze 2006

M. Alvarez Gonazàlez, Michelangelo, Milano 2007

C. Acidini Luchinat, Michelangelo scultore, Milano 2010

G. Dalli Regoli, Al centro del disegno. Ricerche ed esperienze in fogli fiorentini del secondo Quattrocento, Pisa 2010

 

 
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