Giuseppe Di Napoli, I principî della forma. Natura, percezione e arte, Torino, Einaudi, 2011
di Francesco De Carolis
ABSTRACT: The review analyses Giuseppe di Napoli's last book on visual perception. Di Napoli's main thesis concerns the base level of the form and the way in which visual perception reacts to certain forms (geometrical, "abstract", etc.). Di Napoli studies in particular the relationship between Art and Nature, and the process through which the form from natural becomes artistic. The author takes into account how artists and philosophers considered this topic, quoting a rich literature, from Goethe to Focillon, from Schapiro to Klee, with a special regard to scientific research especially during the last Century.
Negli ultimi anni, e in maniera sempre più frequente, sono apparsi contributi inerenti i rapporti tra scienza e arte, che fanno di tale legame un ambito delle attuali metodologie di speculazione storico-artistica su cui riflettere con sempre maggior attenzione.
Uno degli ultimi casi è il libro di Giuseppe Di Napoli dal titolo I principî della forma. Natura, percezione e arte, edito da Einaudi nella collana PBE Nuova serie. Si tratta di un accurato studio su quelli che sono gli elementi fondanti delle forme naturali, della percezione e dell’arte, partendo, così come riportato dal titolo dell’Introduzione, dalla identificazione delle forme quali diagrammi di forze.
Proprio per chiarire quali sono le basi su cui poggia tutto il discorso del volume, lo studioso scrive (p. XV): «L’assunto, su cui poggia l’impianto metodologico del nostro discorso, è che ogni forma, sia essa organica o inorganica, fisica o simbolica, artistica o percettiva, non compare dal nulla, ma si-forma nel tempo: è sempre prodotta, seppure momentaneamente, da un processo che si svolge nello spazio-tempo, ragione per cui è sempre formata».
È, quindi, per questo motivo che l’organizzazione del discorso dell’autore presenta una parte dedicata all’indagine di quelli che sono i principî, alla quale segue una dettagliata descrizione degli stessi principî che sistematicamente vengono vagliati in ambito naturale, percettivo e artistico. Su questa base iniziale, cioè sulla definizione dei principî della forma, è ravvisabile uno degli aspetti più interessanti, certamente per chi studia storia dell’arte. Riprendendo quanto scritto da D’Arcy Thompson in Crescita e forma. La geometria della natura, pubblicato nel 1917, le forme possono essere sempre descritte come l’effetto che viene prodotto dall’azione di una forza, da cui lo stesso D’Arcy Thompson sintetizza che «la forma di un oggetto è un diagramma di forze», e che per sua natura la forma – così come emerge da I principî della forma – non viene data così com’è, ma viene a formarsi nel tempo attraverso un processo morfogenetico. In sostanza, Di Napoli individua principî euristici «comuni ai tre ambiti della morfogenesi della forma naturale, della vocazione formativa della visione e della genesi creativa delle forme artistiche» (p. 39) attraverso un articolato discorso sulla origine comune delle forme della natura, della percezione e dell’arte.
Attraverso un’argomentazione sull’opportunità di ricercare i principî in natura, visione e arte, con il vaglio di un’ampia gamma di testi dei più diversi ambiti del sapere (da Einstein a Jung, da Goethe a Klee per citare i più noti), si giunge ad una enunciazione di tali principî dalla quale prendono le mosse i successivi capitoli del libro. Infatti l’opera riflette su otto principî fondanti la forma: principio del centro; del minimo; della polarità e delle transizioni; della crescita; della costanza e del mutamento; della relazione parte-tutto; dell’amorfia e del caos e del campo e del vuoto. Riguardo questi principî, l’autore avverte che essi sono suscettibili di integrazione e definizione, così come tende a dimostrare la figura geometrica dell’ettagono che viene ad essere realizzata ponendo in un ipotetico centro il principio del vuoto attorno al quale si dispongono i restanti principî, divenendo perciò tale figura geometrica «un poliedro che non si lascia costruire con precisione per mezzo di riga e compasso con la stessa precisione geometrica con cui è possibili, invece, costruire tutte le altre figure regolari» (p. 41).
In sostanza, lo studio di Di Napoli definisce la forma artistica mediante una speculazione di tipo scientifico, che da una parte viene sostenuto da ricerche fondanti la cultura matematico-fisica e psicologico-psicanalitica del secolo scorso, e dall’altra da un’avvertita riflessione a proposito delle teorie formaliste che vanno da Focillon a Klee e oltre. Ad esempio, proprio riguardo il carattere metamorfico della forma, al pari della teoria stessa della morfogenesi, è evidente un ricordo proprio delle teorie di Henri Focillon e della sua scuola, ed esattamente in questa dimensione risuonano le parole di George Kubler: «il valore di qualsiasi riavvicinamento tra storia dell’arte e storia della scienza sta nel mettere in luce quei tratti comuni di scoperta, mutamento e desuetudine che il tempo incide sulle opere materiali sia degli artisti sia degli scienziati. I più cospicui esempi nella storia dell’energia (come il vapore, l’elettricità e i motori a combustione interna) indicano ritmi di produzione e desuetudine ugualmente familiari agli studiosi di storia dell’arte. Scienza e arte si occupano ambedue di certi bisogni umani che la mente e le mani soddisfano producendo cose»1.
A questo punto però bisogna stare attenti, il legame con le teorie formalistiche di Focillon e dalla sua scuola restano a uno stato di premessa, non potendo andare oltre perché se nelle teorie dello storico dell’arte francese la vita delle forme nello spazio è abbozzata nella vita in spirito, e cioè nell’intenzione, il saggio appena uscito pone la forma artistica sullo stesso grado di consapevolezza delle forme naturali e della percezione.
Il punto di rottura con le teorie formalistiche è nella comprensione della forma nei metodi della ricerca scientifica e della psicologia, ricerche che fondano la loro identità proprio nella definizione e scoperta di principî, non comprendendo di conseguenza l’idea formale di Focillon o, come avrebbe detto Fiedler, della mutua interdipendenza tra spirituale e corporeo2. A tal proposito, se l’autore riconosce la diade idea-materia, afferma però:«La forma è l’interfaccia tra l’idea – eidos – e la materia – l’aspetto sensibile delle cose. Ma l’indivisibile natura di questa diade impone la necessità di unificare la prima con la seconda, la varietà con l’unità, la molteplicità con la singolarità…» (p. 34). È in questo ambito di unione nella natura che la morfogenesi, con i suoi caratteri peculiari, assume valore universale (cosmogenesi) e si manifesta attraverso la sua riconduzione a principî.
Il libro, in sostanza, costituisce una teoria scientifica dell’esperienza artistica, la quale non si basa più sull’interpretazione e la capacità della storia e della critica di leggerla, comprenderla e spiegarla con parametri estetici, ma viene a fondarsi su quelle discipline definite neuroestetiche3. Siamo dunque di fronte a un nuovo e stimolante ambito metodologico, entro il quale il libro I principî della forma. Natura, percezione e arte certamente assumerà una posizione di rilievo (così come rilevante è il precedente libro di Di Napoli, Il colore dipinto. Teorie, percezione e tecniche), ma davanti al quale, comunque, non nascondo un personale attaccamento al valore umanistico dell’arte, dei suoi oggetti e avvenimenti. A mio avviso, il valore della forma in accezione umanistica, nella quale rientrano anche le nostre vite e le nostre esperienze, e che sempre meno vengono accettate e considerate in tal senso dalla società, è l’unica via di reale sopravvivenza dell’uomo, anche se, con tutta evidenza, oggi sono in molti ad affermare il contrario. Pensando alla paura di catastrofi e invasioni che caratterizza questo periodo storico, fondato sulla precarietà delle conoscenze e nel quale sembra essere stato smarrito quell’umanistico rapporto con il mondo sul quale si è fondata anche la ricerca scientifica, forse non rimane che aggrapparci, nel più schietto atteggiamento (umanistico) di ricerca dell’identità dell’uomo nelle proprie creazioni, alle famose parole di Dostoevskij – «la bellezza salverà il mondo» – e ricercare quanta di questa bellezza si può ancora riconoscere nel tempo e nello spazio che viviamo.