di Gabriele Fattorini
Direttore del Museo Diocesano di Pienza
ABSTRACT: Recently the Diocesan Museum di Pienza presented the restoration of the triptych by the Florentine painter Niccolò di Pietro Gerini (doc. 1368 - 1414/1416) representing the Madonna and Child with the saints Anthony abbot and Francis. The painting was given to the museum in 2003 by two citizens of Pienza (Bruno Stefanelli and his wife Maria Grazia Chechi) and is typically "out of context": it comes from the little chapel of Piecorto, near Poggibonsi in the Elsa Valley (an area where the Florentine painters of the late Trecento worked), but its original destination was surely different and most prestigious. The triptych was heavily repainted and "riquadrato" probably in the 18th century and only in the 1970s it was revealed by a restoration commissioned by Stefanelli to Paolo Gori. Thanks to the last restoration by Mary Lippi its appearance looks much better and the attribution to Niccolò di Pietro Gerini can be confirmed. It was probably painted in the last decade of the 14th Century.
La conclusione di un intervento di restauro, presentato al Museo Diocesano di Pienza il 17 aprile 2011, offre l’occasione per dedicare un breve contributo a un tipico esempio di opera fuori contesto. In effetti la presenza di un trittico del fiorentino Niccolò di Pietro Gerini (documentato dal 1368 – 1414/1416) nella città di Pio II è decisamente inaspettata, tanto più che sul finire del Trecento, molto tempo prima di essere trasformato da Enea Silvio Piccolomini in un gioiello urbanistico rinascimentale, il villaggio di Corsignano era in tutto e per tutto una colonia artistica senese, assai distante dal pur vasto campo di diffusione di un portavoce dell’“accademia” giottesca come Niccolò1.
E infatti il trittico è arrivato nel museo di Pienza soltanto nel 2003: munifico dono alla città natale di Bruno Stefanelli e della moglie Maria Grazia Chechi, i quali lo avevano rinvenuto molti anni prima nella piccola cappella di loro proprietà nel borgo di Piecorto, in Val d’Elsa, tra Poggibonsi, Barberino e San Donato. Al momento della donazione il dipinto portava già l’attribuzione a Niccolò di Pietro Gerini, cui lo avevano riconosciuto indipendentemente Enrica Neri Lusanna e Marco Pierini2. Tuttavia le sedi nelle quali si è trattato finora del trittico rischiano di non essere troppo accessibili agli studiosi di pittura fiorentina di fine Trecento e per questo ho voluto mettere a disposizione di costoro questa breve scheda, che mi auguro possa essere utile a futuri approfondimenti.
Il trittico misura cm 115,3 x 169,5 x 5 (ingombro massimo) ed è costituito da tre tavole a venature verticali, cuspidate e collegate sul retro da due traverse non originali, nelle quali sono raffigurati la Madonna col Bambino e i santi Antonio abate e Francesco (fig. 1-2)3. L’infelice stato di conservazione è ovviamente conseguenza delle vicende occorse al dipinto, che una quarantina d’anni fa si presentava sopra l’altare della chiesetta di Piecorto occultato da una pesante ridipintura (particolarmente nello scomparto centrale) e ingenuamente riquadrato (fig. 3). Una simile trasformazione, così come le tracce di una corona oggi non più esistente sulla testa della Vergine, sono indicative del fatto che il trittico deve avere goduto di una certa venerazione in età moderna. Il pesante riassetto, come è stato detto, potrebbe risalire al secolo XVIII4 e indubbiamente fu affidato a un artigiano non particolarmente capace5. Al tempo stesso non è da escludere che quanto è giunto fino a noi possa essere la reliquia di un complesso di maggiori dimensioni, dove i personaggi si stagliavano forse a figura intera; c’è addirittura da chiedersi se in origine non potessero esservi due ulteriori scomparti laterali, a formare un pentittico6. Tutto questo, come osservava anche Enrica Neri Lusanna7, è emblematico del riutilizzo di un complesso nato per una chiesa di una certa importanza e quindi emigrato in una cappella di campagna, secondo una comune consuetudine spesso frutto della devozione. La cappella di Piecorto (fig. 4), dunque, non deve essere stata l’originale destinazione del complesso, che resta ancora da identificare. Due, a tal proposito, le strade da battere: la provenienza da una chiesa del territorio (poichè la terra di confine tra Val d’Elsa e Chianti era zona di influenza dei pittori fiorentini di secondo Trecento)8, oppure quella da un altare appartenuto alla stessa famiglia che nei secoli scorsi era proprietaria di Piecorto (la quale avrebbe destinato alla cappella della villa un dipinto non più adeguato a una chiesa di città). Su questo si potrà indagare, tenendo tuttavia conto che per il borgo di Piecorto – attestato già nell’estimo fiorentino di metà Trecento tra i beni di Maso di Michele da Tignano e con l’epiteto di “Pie’ mozzo”9 – non si recuperano notizie nel voluminoso Dizionario di Emanuele Repetti e che la sua cappella sfuggì al prezioso lavoro di inventariazione degli oggetti d’arte della provincia di Siena compiuto da Francesco Brogi tra il 1862 e il 1865. Il 22 settembre 1941 il Soprintendente di Siena Pèleo Bacci scriveva a Giuseppina Begliuomini (l’allora proprietaria di Piecorto) comunicando l’intenzione di restaurare quello che, a seguito del sopralluogo di un ispettore della Soprintendenza, appariva come un “trittico di scuola senese del XIV secolo”, il quale necessitava di una pulitura per potere essere meglio giudicato10. Il restauro sarebbe stato tuttavia compiuto soltanto negli anni settanta da Paolo Gori, a Firenze, per volontà non della Soprintendenza, ma di Bruno Stefanelli, che frattanto aveva acquisito la proprietà di Piecorto e del dipinto11. In quella circostanza si provvedette non solo a eliminare le ridipinture e recuperare le cromie originali, ma anche a integrare alcune parti della carpenteria perdute (la punta della cuspide centrale, le estremità amputate dei laterali), a inserire le traverse attuali e una cornice, a chiudere alcune ampie lacune della pittura con brani di tela (nel manto della Vergine e nelle estremità mancanti dei Santi laterali) e pure con uno sgradevole colore arancio indubbiamente troppo acceso (lo si nota bene nella fotografia precedente il restauro, soprattutto ai margini delle tre tavole; fig. 5). Realizzato da Mary Lippi e diretto da Laura Martini (Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le Province di Siena e Grosseto), l’intervento attuale ha notevolmente migliorato l’aspetto e la leggibilità del dipinto, rimuovendo le tracce del precedente intervento (compresa la cornice falsa), procedendo ad accurate integrazioni con restauro pittorico laddove possibile e chiudendo a neutro le lacune più ampie12.
L’iconografia del trittico non pone particolari problemi. Lo scomparto mariano presenta il motivo della “Madonna della rosa”, con il Bambino che dona alla madre il fiore simbolo di purezza, allineandosi a un tema che godeva di buona fortuna nella Firenze di fine Trecento, come testimoniano un paio di notevoli gruppi scultorei assegnati a Niccolò di Pietro Lamberti: quello della Porta dei Canonici del Duomo e l’altro del tabernacolo dell’Arte dei Medici e Speziali di Orsanmichele. Antonio abate è il solito vecchio eremita dalla lunga barba con bastone e libro, così come Francesco veste il consueto saio, ostenta le stimmate e tiene nella sinistra un ennesimo volume. Quanto all’attribuzione, basta a confermarla un confronto tra la solida testa della Vergine dagli occhi allungati e dai capelli raccolti e scoperti (una soluzione che fu cara a Gerini, ancora prima che a molti pittori fiorentini della successiva generazione quattrocentesca)13 e il dettaglio della “silenziosa” Temperanza facente parte del ciclo affrescato da Niccolò nell’antica sala capitolare di Santa Felicita a Firenze nel 1388 (figg. 6-7). Un nesso che non sfuggiva a Enrica Neri Lusanna, la quale pensava infatti a una datazione verso la metà degli anni ottanta e proponeva pure un acuto accostamento tra il nostro Sant’Antonio abate e quello della collezione Acton, conservato nella Villa La Pietra presso Firenze (figg. 8-9)14. Il serioso San Francesco dalla corta barba, cinto da una spessa fascia di capelli sul capo tonsurato, si trova bene a suo agio con i personaggi che popolano le Storie di san Matteo affrescate da Gerini nella prima metà degli anni novanta nella sala capitolare di San Francesco a Prato (figg. 10-11), rispetto ai quali mostra – allo stesso modo del compare Antonio – come un pizzico di naturalismo in più: segno magari di una datazione ormai all’ultimo decennio del Trecento15. A tale proposito Andrea De Marchi mi fa notare la possibilità di un rapporto con il giovane Mariotto di Nardo, che con Gerini e altri pittori avrebbe condiviso sul finire del Trecento l’impresa della decorazione della Loggia di Orsanmichele16. Ma su questo merita attendere studi futuri.
IMMAGINI
1. Niccolò di Pietro Gerini, trittico con la Madonna col Bambino e i santi Antonio abate e Francesco: Pienza, Museo Diocesano.
2. Niccolò di Pietro Gerini, trittico con la Madonna col Bambino e i santi Antonio abate e Francesco (retro): Pienza, Museo Diocesano.
3. Niccolò di Pietro Gerini, trittico con la Madonna col Bambino e i santi Antonio abate e Francesco: fotografia precedente il restauro che ne documenta lo stato di conservazione quando ancora si trovava nella cappella di Piecorto.
4. Cappella di Piecorto, Poggibonsi.
5. Niccolò di Pietro Gerini, trittico con la Madonna col Bambino e i santi Antonio abate e Francesco (dopo il restauro di Paolo Gori e prima dell’attuale): Pienza, Museo Diocesano.
6. Niccolò di Pietro Gerini, trittico con la Madonna col Bambino e i santi Antonio abate e Francesco (particolare della Madonna): Pienza, Museo Diocesano.
7. Niccolò di Pietro Gerini, Temperanza: Firenze, Santa Trinita.
8. Niccolò di Pietro Gerini, trittico con la Madonna col Bambino e i santi Antonio abate e Francesco (particolare del Sant'Antonio abate): Pienza, Museo Diocesano.
9. Niccolò di Pietro Gerini, : Firenze, Villa La Pietra, Collezione Acton.
10. Niccolò di Pietro Gerini, San Matteo resuscita la figlia del re d’Etiopia (particolare): Prato, San Francesco.
11. Niccolò di Pietro Gerini, trittico con la Madonna col Bambino e i santi Antonio abate e Francesco (particolare del San Francesco): Pienza, Museo Diocesano.
NOTE
1. Premesso che per ogni studio sui pittori fiorentini di secondo Trecento resta fondamentale il celebre volume di Miklós Boskovits, Pittura Fiorentina alla vigilia del Rinascimento, Firenze 1975 (dove alle pp. 402-415 è una lunga lista di opere di Gerini), per un paio di profili biografici di Niccolò di Pietro Gerini ricordo le voci di Stefano Pierguidi, in Dizionario Biografico degli Italiani, LIII, Roma 1999, pp. 427-429, e in Saur Allgemeines Künstler-Lexikon, LII, München-Leipzig 2006, pp. 146-148.
2. E. Neri Lusanna, Arte gotica nel Chianti: riflessioni e novità, in “Il Chianti. Storia arte cultura territorio”, 22, 2002, Istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa nel Chianti tra Medioevo ed Età Moderna, atti del convegno (San Casciano in Val di Pesa 1999), a cura di I. Moretti, pp. 139-154, in particolare pp. 145-150 (ringrazio Sonia Chiodo per avermi segnalato questo contributo); M. Pierini, in Museo Diocesano di Pienza. Nuove acquisizioni, a cura di L. Martini e M. Pierini, Siena, 2004, pp. 8-9.
3. Misure in dettaglio: scomparto centrale con la Madonna col Bambino cm 115,3 x 66,7; scomparto laterale con Sant’Antonio abate cm 105,9 x 51,8; scomparto laterale con San Francesco cm 104,2 x 51,4. Lo spessore delle tavole varia tra i cm 2,5 e 2,3, raggiungendo cm 5 con le traverse non originali.
5. Oltre alla scarsa qualità della ridipintura, colpisce la campagnola semplicità della riquadratura, ben lontana dal pregio delle riquadrature quattrocentesche che non mancarono di interessare pure dipinti del Gerini, come testimonia la pala di Santa Maria a Collegonzi presso Vinci (la si veda riprodotta da Sonia Chiodo, Il Maestro della Misericordia e Niccolò di Pietro Gerini: un problema di pittura fiorentina di secondo Trecento, in “Arte Cristiana”, XCIII, 2005, 826, p. 56).
6. Domanda alla quale non si può rispondere perchè le tavole con sant’Antonio abate e san Francesco sono state resecate di diversi centimetri nei bordi esterni , dunque non si può farvi la consueta verifica dei fori dei cavicchi.
8. Esemplare in tal senso la presenza a San Gimignano di opere di Lorenzo di Niccolò (pittore della cerchia di Gerini, scambiato in passato per suo figlio), come il polittico di San Bartolomeo (1401) e il tabernacolo per il busto reliquiario di Santa Fina (1402) ora nella Pinacoteca.
9. Maria Grazia Ravenni, Poggibonsi nel Basso Medioevo. Genesi di un territorio comunale, Poggibonsi 1994, p. 192.
10. La lettera si conserva nell’Archivio della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici per le Province di Siena e Grosseto e porta il numero di protocollo 3052, part. 1353 ed è stata messa a mia disposizione da Laura Martini, che ringrazio.
11. Così testimonia lo stesso Stefanelli e diceva già Pierini, in Museo Diocesano cit., p. 8 (dunque non si tratta di un “recupero degli anni novanta”, come risultava a Enrica Neri Lusanna, Arte gotica nel Chianti cit., pp. 145, 148).
12. In tal senso l’intervento ha rispettato le volontà di Bruno Stefanelli e Maria Grazia Chechi, i quali avevano chiesto, al momento della donazione, che il dipinto non avesse pesanti integrazioni in occasione di eventuali restauri. Nell’esecuzione del neutro, la restauratrice Mary Lippi ha inoltre guardato a quanto aveva fatto Alfio Del Serra nella Madonna della Misericordia di Bartolo di Fredi che è esposta nella stessa sala del museo pientino. L’intervento è stato finanziato dalla Fondazione Musei Senesi e dal Comune di Pienza.
13. Si ricordi per esempio la Madonna col Bambino, santi e angeli n. 68 (20) del Lindenau-Museum di Altenburg, ora schedata da Daniela Parenti, in Da Bernardo Daddi al Beato Angelico a Botticelli. Dipinti fiorentini del Lindenau-Museum di Altenburg, catalogo della mostra (Firenze 2005), a cura di M. Boskovits, Firenze 2005, pp. 88-89.
15. Per ragioni non troppo diverse Pierini (in Museo Diocesano cit., p. 8) proponeva una datazione ancora più alta, al primo decennio del Quattrocento.
16. Andrea De Marchi – che ringrazio per avere discusso con me di questi argomenti – rileva inoltre la dimestichezza di Mariotto con il motivo della Madonna dal capo scoperto (si veda per esempio il n. 67 (25) del Lindenau-Museum di Altenburg, recentemente schedato da Sonia Chiodo, in Da Bernardo Daddi al Beato Angelico cit., pp. 134-135). Per Mariotto di Nardo si può contare su di un accurato profilo di Sonia Chiodo, in Dizionario Biografico degli Italiani, LXX, Roma 2008, pp. 585-592.