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Mino
Orzalesi, allora appena ventenne, giovanissimo artista, responsabile
del Nucleo Universitario Fascista, segue l'iniziativa e annota le
sue originali considerazioni cinematografiche in un Diario: ad esso
consegna le sue riflessioni e il suo percorso artistico ed
esistenziale, destinato a concludersi con la prematura morte, a
guerra appena finita, nell'ottobre 1945. Una lunga pagina viene
dedicata - è il 13 febbraio 1943 - alla dettagliata analisi de
Il carro
fantasma di Duvivier, e
conclude: "Di questi film ce ne vorrebbero di più, molti di più: ben
pochi se ne vedono a Volterra. Volterra, al di fuori di tutti i miei
amici presenti, ha fischiato questo bel film, e noi del Guf ci
apprestiamo a fare delle serate retrospettive di Clair, Renoir,
Duvivier, Pabst, Uciki, Fagder, Carnè, il primo Gallone magari, e
Capra; gente che sa (o sapeva) fare del Cinema. Gli articoli miei
spero saranno convincenti". A commento della programmazione
cinematografica, egli pubblicherà su Il Corazziere. Settimanale fascista
volterrano, brevi, ma
significativi contributi, dai quali si intravede la sensibilità del
giovane pittore verso la forma espressiva del cinema. Dobbiamo a
Nicola Micieli, che ha largamente lavorato sulla produzione
artistica sommersa del Novecento, la pubblicazione del Diario. Egli
ne ha intravisto tutta la ricchezza umana e documentaria, la
"esemplarità della vicenda umana di Orzalesi, sullo sfondo non già
di un mito romantico, ma delle storie concrete degli anni cruciali
dell'immane conflitto mondiale". Il titolo, Una vita, un ventennio, sottolinea non solo la brevità della vita
dell'autore, ma anche che quasi tutto l'arco della vita del giovane
Orzalesi è coinciso con il "ventennio" fascista. Il carattere
veramente controcorrente, anche sul piano dei contenuti culturali e
del pubblico, dell'impostazione di Orzalesi risalta se solo si cita
un altro articolo di argomento cinematografico, uscito pochi anni
prima sullo stesso periodico, nel quale Giulio Guerrieri commenta il
fatto che "le quattro grandi case ebraico-cinematografiche di
Hollywood hanno rifiutato di fornire le pellicole di loro produzione
alle nuove condizioni del Monopolio italiano": "dovremo fare a meno
dei baci di lunghissimo metraggio di tante insuperabili Miss, degli
sguardi affascinanti di vari Gable che sulle scene si chiamano
sempre Jonn (sic); di tutte quelle solenni porcherie impastate di
divorzi e di wicky (sic) che hanno insegnato nell'ultimo ventennio
al mondo intero le vie della corruzione e dell'inganno". La
spiritualità e la mentalità fascista hanno bisogno di "qualcosa di
meno falso e di più grande" e registi ed attori italiani, "in nome
di quell'arte che nei secoli è stata tipica espressione di
romanità", sapranno sostituirsi a chi manca "con quella genialità
che sempre distingue gli italiani nelle grandi ore". La critica
di Orzalesi invece si appunta piuttosto sui contenuti artistici,
sulla tecnica cinematografica. Così, I commedianti del
tedesco Pabst è giudicato deludente: "per buona parte del film ci
pare che il regista rinunci a quello che è peculiare al buon cinema;
e cioè dinamicità ed armonioso susseguirsi delle diverse parti del
montaggio". In privato, nel Diario, il 3 marzo, il giudizio è più
netto ancora, si parla di "fallimento" del film, di "sequenze
addirittura dozzinali": il regista si sarebbe riservato "quel quarto
d'ora in tutto il film per far vedere le sue qualità", come forma di
protesta. "Qualunque artista non potrebbe costruire 100 capolavori
su obbligo". Il Renoir de L'Angelo del male
consente a Orzalesi la critica di "un concetto che definisce il
cinema francese come deteriore e corrotto": una generalizzazione
"che identifica spesso la immoralità artistica nella immoralità
degli argomenti trattati e ignora le sane energie che solo valgono,
non è applicabile al nobilissimo film di Renoir tratto da
La béte humaine di Zola". Il decadentismo e gli schemi
letterari di altra produzione francese sono qui superati: "i moti di
Renoir sono rigorosi, vigilati, privi di substrati letterari,
assurgono ad uno stile chiaro, senza riferimenti retorici e
debolezze, e ci rivelano (questo ci preme far notare) uno spirito
mediterraneo e nostro". La produzione specificamente italiana, i
"buoni e cattivi registi" sono al centro della successiva "Nota" (la
rubrica era ora intitolata "Note di cinema") sulla "attuale crisi
artistica del nostro cinema". "Il nostro panorama cinematografico
non è confortante…in Italia possiamo solo guardare ai giovani, ai
giovani registi che lavorano sul vivo, quelli che fanno i
documentari". E buoni sarebbero mescolati a meno buoni: tra i primi
i documentaristi Pasinetti e Paulucci, mentre Alpha Tau, Un pilota
ritorna, Orizzonte di sangue, sono criticati per goffaggine e retorica e
Fari nella
nebbia di Franciolini, con
Luisa Ferida, come un film che non realizza i suoi obiettivi.
Orzalesi appunta le sue critiche alla "produzione più ricca di
'fabbricatori' di film e di attori 'idoli'", che "sfoggia pregi
extracinematografici, come 'attori per la sola bellezza fisica', od
attori 'indossatori' […] in opposizione alla sobrietà e alla serietà
delle autentiche opere d'Arte". Questo stato di cose non sarà
modificabile subito, ma "ad un certo punto però la coscienza, seppur
di pochi, avrà il sopravvento: ma questa fase è ancora da venire,
qualche cenno già c'è, anche se in certi da cui non ci si sarebbe
aspettati nulla di buono". L'ultima "Nota" risale all'inizio della
drammatica estate del 1943 e riguarda un'analisi stringente di
Alba tragica e del Porto
delle nebbie: "Tutti i
personaggi di Carnè sono legati ad un destino contro cui lo stesso
regista lotterebbe invano; la loro apparizione è nebulosa e quando a
noi pare stia per rivelarsi ci sorprende, ci sfugge; volutamente il
regista ci mostra una sola parte della loro vita, li fissa per un
attimo prima che siano trasportati via dal corso degli avvenimenti:
la nostra curiosità si sofferma poi con curiosità su ciò che egli ci
fa ignorare". "Riferimenti letterari di spirito assai decadente -
conclude - che lo avvicinano semmai più a Duvivier che a
Renoir". L'Orzalesi critico cinematografico tace
per due anni, gli anni del passaggio del fronte e della Resistenza.
Escluso per la salute dall'azione diretta, conosciamo dal Diario i
suoi dilemmi politici, in lui laceranti e sofferti oltre ogni
misura. Ma già nel novembre 1944 - Volterra è stata liberata
l'estate precedente, nel giugno - e sin dal primo numero di
Volterra Libera, Orzalesi riprende, dopo "un certo periodo di
astinenza forzata dalla visione continua dei film", con una
riflessione che nel Diario (4 novembre 1944) definisce (lamentandosi
del poco spazio a disposizione) di "estetica cinematografica". Si
chiede se il cinema non sia intrinsecamente limitato nell'affermarsi
pienamente come arte per doversi "concedere a considerazioni di
comunicabilità con il pubblico" e nell'essere "la macchina da
presa…un mezzo inadeguato di espressione artistica nei riguardi di
altre forme d'Arte". I successivi commenti compariranno dopo
molti mesi: la malattia si sta manifestando in tutta la sua gravità.
Nel maggio 1945 Orzalesi riprende la penna per commentare
Un giorno di
guerra, documentario di
produzione sovietica. "L'intento propagandistico del film ci
esimerebbe dal pronunciare un giudizio più strettamente estetico: ma
alcuni pregi artistici sono troppo evidenti perché non giovi
accennarvi". Ancora sulla distinzione tra elementi di carattere
propagandistico e quelli più propriamente artistici si basa il
secondo intervento, sempre sulla cinematografia russa, che parte dal
riconoscimento del fatto che "il cinema è diventato il mezzo di
espressione più moderno della vita e della psicologia dei popoli" e
polemizza con chi ritiene che "l'arte subisse in Russia una nefanda
influenza di imposizione". Nel documentario proiettato a Volterra
Un giorno nel nuovo
mondo rintraccia infatti "non
effetti di discorsi propagandistici della cui sincerità dubitiamo ma
immagine e ritmo cinematografico accompagnato da un commento
musicale ottimo". Molti erano i progetti del giovane
che rimarranno troncati. Alla produzione artistica, sua principale
attività, agli interessi cinematografici, si affianca anche il
progetto di alcuni testi letterari, alcune novelle, registrato nelle
ultime righe del Diario, agli inizi dell'agosto 1945, nelle quali si
accenna anche agli elogi di Carlo Cassola, come "motivo di
orgoglio" e possibile viatico per il futuro, ma "fuori
Volterra".
Nota
bibliografica Una vita,
un ventennio, a cura di N.
Micieli, Milano-S. Croce sull'Arno, 1999; M. Battini,
Pisa voce in Dizionario della Resistenza, II, Torino, 2001.
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